Il presidente dell’Acri, Giuseppe Guzzetti, di mestiere ha sempre fatto l’avvocato fra il civile e l’amministrativo e non sempre gli interessati ricordano che la sua tesi di laurea in legge alla Cattolica ha avuto come tema la primissima Cassa depositi e prestiti. Difficile pensare che un professionista di diritto, controversie, trattative si facesse bloccare in un negoziato con il Tesoro in punta legale. Ancor più difficile pensare che le Fondazioni “di Guzzetti” lasciassero il tavolo della “seconda Cdp”: strategica infrastruttura-Paese in quel particolare “dopoguerra” che è quello che segue la grande crisi economico-finanziaria.

L’esito positivo del contenzioso sulla conversione in ordinarie delle azioni privilegiate (finora 30%) detenute dalle Fondazioni ha sostanzialmente rispettato le attese. L’exit strategy segue il percorso tracciato dal Consiglio di Stato: una norma di legge (in concreto l’emendamento Bonfrisco inserito nel decreto-sviluppo) che, nella sostanza, avrebbe dovuto evitare rotture (tenere in Cdp il grosso delle Fondazioni, consentire il recesso di singoli enti, non umiliare la burocrazia del Tesoro con arbitrati troppo filo-Fondazioni). 

Le Fondazioni non volevano/potevano sborsare troppo: molti presidenti avrebbero avuto problemi a dirottare verso Cdp risorse falcidiate dalla crisi e lo stesso Tesoro (vigilante degli enti) non poteva pretendere “svenature”. La diluzione al 20% e il versamento di meno di un miliardo dilazionato in quattro anni sembra chiudere efficacemente il cerchio. Le Fondazioni restano in Cdp “promosse” ad azionisti ordinari; il Tesoro tiene a bordo gli enti – oggi partner irrinunciabili – e incassa comunque mezzi freschi nella Cdp.

L’arretramento relativo al 20% delle Fondazioni nel capitale non intacca il ruolo di partner esclusive e strategiche del Tesoro. Può d’altronde tacitare – a livello d’immagine – le voci “mercatiste” che premevano sul premier Mario Monti e, soprattutto, sul ministro dell’Economia Vittorio Grilli, perché “contenessero” le Fondazioni nella “super-Cdp”. Ma nella sostanza, le Fondazioni restano troppo importanti: anche nella Cdp. E la loro “governance” è ormai consolidata da un decennio: possono mutare gli equilibri politici locali che – parzialmente – orientano le strategie degli enti; difficilmente potrà cambiare il modello.

Per paradosso, lo sganciamento di CariVerona da Cdp conferma l’autonomia degli enti, anche l’uno rispetto all’altro: è il disegno di “finanza sussidiaria e federalista” della legge Ciampi assai prima e più delle polemiche di stagione dei Tito Boeri e dei Luigi Zingales.