Il Montepaschi chiede “solidarietà” ai suoi dipendenti: in concreto una riduzione dello stipendio. Non è la prima grande azienda italiana che domanda sacrifici ai suoi lavoratori: la Fiat lo ha fatto – parecchio a modo suo – a Pomigliano, anche se a Il Sussidiario preferiremmo che la cronaca si occupasse di più di quelle migliaia di imprese minori in cui proprietari, dirigenti, addetti solidarizzano assieme a favore dell’azienda stessa e della ripresa della più ampia Azienda-Italia. A quest’ultima, in realtà, il governo Monti ha già imposto senza troppi complimenti un gigantesco “obbligo di solidarietà”, che discenderà pure da un “inderogabile” principio costituzionale, ma risulta sempre più ostico mano a mano che i ministri tecnici rivelano redditi, patrimoni, situazioni di privilegio, per quanto legale: e sono in buon numero alti funzionari pubblici, posto fisso e garantito.



Quando però a sollecitare “solidarietà” è una banca – e questa banca è il Montepaschi – il malumore si moltiplica. E non perché l’istituzione senese faccia il paio con i banchieri apolidi che hanno fatto un boccone della buona fede o al massimo della “piccola e legittima avidità” di milioni di risparmiatori in giro per il mondo. Invece Rocca Salimbeni ha fatto l’esatto contrario: ha levato le castagne dal fuoco al gigante spagnolo Banco Santander, che a sua volta aveva in fondo levato le castagne dal fuoco al colosso olandese Abn Amro, che aveva acquistato l’italiana AntonVeneta solo per avvertire il mondo che in un mercato come quello italiano era la City a dettare le regole, non il locale Governatore della banca centrale, Antonio Fazio, poi esemplarmente condannato.



Peccato che l’Opa Abn-AntonVeneta stesse in piedi anche meno di quella congegnata dalla Popolare Italiana di Giampiero Fiorani. E che già un anno dopo la fatidica estate 2005, Abn Amro fosse al centro di un ennesimo “gioco dell’Opa” consegnandosi a Santander e Royal Bank of Scotland: in realtà, era una banca già semifallita, come si rivelarono nel 2008 le sorelle olandesi Ing e Fortis. Come la stessa Rbs, che oggi appartiene al 66% allo Stato britannico (anche se nessuno lo ricorda mai). Così come il Santander della famiglia Botìn è stata la banca europea a cui l’Eba ha rilevato il più alto deficit di capitale (25 miliardi di euro).



Non sorprende che nel 2007 – in Banca d’Italia era già governatore Mario Draghi – il gruppo spagnolo abbia subito ri-offerto all’Italia l’Antonveneta. Il Montepaschi, ci mise del suo: nel senso che accettò di versare 9 miliardi di euro per cassa, mettendo a repentaglio gli equilibri della banca in nome della plurisecolare pretesa della Fondazione-città di non condividere mai con nessuno Rocca Salimbeni. Resta però il fatto che quella stessa Bankitalia che oggi tuona contro i banchieri che soffocano le imprese con il “credit crunch” allora non ebbe nulla da dire sul fatto che un’azienda bancaria Antonveneta fosse stata “comprata e venduta” due volte, regalando patrimonio e commissioni a banche estere.

Il vertice del Monte (il presidente Giuseppe Mussari, che guida anche l’Abi e ad aprile lascerà Siena; il direttore generale Pierluigi Vigni che si è dimesso e il successore Fabrizio Viola) hanno avuto coraggio a chiedere “solidarietà” ai propri collaboratori e questi troveranno certamente il coraggio di rispondere, anche se la vera “sussidiarietà” interna all’azienda sarebbe aumentare la produttività a costi più bassi. Però il coraggio deve ancora tornare a molti altri: ad esempio, alle forze politiche, che stanno continuando ad abdicare alle proprie responsabilità di governo democratico, troppo serie per le spalle ricurve e gli abiti costosi di professori ricchi e attempati.

 

P.S.: Un consiglio ad Alessandro Profumo, che è un banchiere bravo e onesto (checché ne abbiano pensato gli azionisti di UniCredit o ne pensino oggi alcuni magistrati milanesi): vada lui a presiedere il Montepaschi, perché è il migliore in circolazione per fare quel maledetto lavoro. Ma lo faccia per un euro all’anno: almeno il primo. E investa subito in azioni del Monte almeno uno dei 40 milioni che ha ricevuto come buonuscita da Piazza Cordusio Così ci convinceremo che lui era e resta – almeno un po’ – diverso da tanti suoi colleghi che hanno sempre fatto il contrario: incassare stipendi altissimi già al terzo mese e acquistare azioni “in opzione”, soltanto per rivenderle subito se (in qualche modo) andavano su.