UniCredit è stato alle cronache, negli ultimi giorni, per due casi distinti: il rimpasto tra gli azionisti stabili dopo il maxi-aumento di capitale da 7,5 miliardi di euro; e la richiesta di rinvio a giudizio per frode fiscale avanzata dalla Procura di Milano contro l’ex Amministratore delegato Alessandro Profumo e altri 16 manager. Le due vicende – con più di un punto di collegamento – meritano qualche riflessione alla luce della nuova “transizione italiana”. Apparentemente non è cambiato molto nel “nocciolo duro” di Piazza Cordusio. Le Fondazioni (CariVerona, Crt, CariMonte Holding, Cassamarca e le minori), hanno in parte limato le loro quote: non sono più dominanti (non lo erano già più), ma mantengono un ruolo importante. È possibile che debbano affrontare qualche ridimensionamento nella governance, ma il punto-chiave sembra un altro, di natura esterna, più politica che finanziaria (anche se nei bilanci delle Fondazioni non sono proprio marginali le perdite sulle azioni UniCredit, gli ennesimi esborsi per ricapitalizzare e l’assenza di dividendi).



Le Fondazioni-pivot (Verona e Torino) non sono più sotto la leadership storica – e quasi autocratica – di Paolo Biasi e Fabrizio Palenzona. Il primo (industriale con difficoltà aziendali sfociate in problemi giudiziari) ha incassato l’anno scorso la riconferma, ma attraverso un compromesso con Flavio Tosi, il “sindaco forte” leghista di Verona. Ma anche la posizione di quest’ultimo (che mantiene comunque ottime probabilità di riconferma in primavera) è stata messa in discussione dai conflitti crescenti in seno alla Lega.



A Torino, invece, la lunga presidenza “istituzionale” di Andrea Comba sembra volgere al termine (anche se la scadenza è nel 2013). Il rinnovo del vertice Crt è infatti stato messo naturalmente sul tavolo, a Torino, assieme a quello imminente della Compagnia San Paolo. E una logica di scambi politici fra il Comune di Torino (a guida Pd) e la Regione Piemonte (a guida Lega-Pdl) assegnerebbe la Fondazione al centrodestra, nella figura dell’ex presidente della Regione Enzo Ghigo. Verrebbe in ogni caso superato il quindicennio in cui il vero “dominus” della Crt è stato Palenzona, che ha fatto del suo seggio di presidente della Provincia di Alessandria in CariTorino il trampolino per un’impressionante carriera nell’establishment finanziario nazionale: da UniCredit a Mediobanca (e a Generali), dalle Autostrade agli aeroporti.



Un “portafoglio-poltrone” che potrebbe tra l’altro essere messo in crisi anche dalle nuove norme sulle compatibilità nei cda di banche e assicurazioni, inserite nella manovra “salva Italia” dal governo Monti. Non bisogna infatti dimenticare che UniCredit è il principale socio strategico di Mediobanca (ultima rimasta fra le tre storiche “Bin”), è in questo momento il principale puntello del management Pagliaro-Nagel ed è coinvolto con Piazzetta Cuccia nel salvataggio di FonSai presso Unipol. Il “patron” di FonSai, Salvatore Ligresti, è peraltro uno dei due grandi ex nel parterre proprietario in evoluzione a UniCredit; l’altro è Carlo Pesenti.

Ligresti (proveniente dal nocciolo duro di Capitalia) ha lasciato Piazza Cordusio per l’aggravarsi della crisi in Premafin-FonSai e per i crescenti rischi di conflitto d’interesse legati alle operazioni correlate (l’ingegnere siciliano sarebbe stato l’unico a tentare una difesa di Profumo, spinto alle dimissioni poco più di un anno fa). Pesenti Jr. esce dal board proprio per la nuova “norma Monti (o norma Passera?)”: ha optato per la governance Mediobanca. Un disimpegno pesante sul piano simbolico: quasi vent’anni fa il gruppo bergamasco era stato espressamente inviato da Mediobanca ad assumere il controllo del Credit appena privatizzato. L’ingresso di Italmobiliare fu finanziato direttamente da Via Filodrammatici con un aumento di capitale. Fu in quell’occasione che Giampiero Pesenti (tuttora presidente del patto Rcs) si ritrovò in compagnia di Ras-Allianz e di altri industriali italiano (come Leonardo Del Vecchio) per dare un assetto al “nuovo Credit” che fu ben presto quello di Profumo.

Se Del Vecchio – secondo i “rumor” – ha mantenuto la sua quota, due altri imprenditori di nome avrebbero fatto il loro ingresso in Piazza Cordusio con quote non piccole (1%): Francesco Gaetano Caltagirone e Diego Della Valle. Entrambi hanno certo approfittato dell’aumento a forte sconto per puntare “chip” importanti sia sotto il profilo finanziario che di dislocazione dei cosiddetti “poteri forti” del capitalismo nazionale. Caltagirone, condannato per l’Opa Bnl del 2005 e impossibilitato a restare vicepresidente del Montepaschi, ha colto l’occasione per una specie di “fuga in avanti”: ha ridotto la sua partecipazione a Siena, accollandosi perdite non marginali, e ha rigiocato su Piazza Cordusio la proverbiale liquidità generata dalle attività cementiere, immobiliari e delle costruzioni. Una liquidità impiegata anche in pacchetti Rcs (fuori patto) e Generali.

Della Valle (anche lui molto liquido per il buon andamento delle sua attività industriali) non è affatto nuovo alle puntate nel settore bancario, strategico come quello dei ”media”. Giovane e rampante, era stato chiamato già vent’anni fa da Mediobanca nel prestigioso nocciolo duro della Comit privatizzata, ma entrò in rotta di collisione con Enrico Cuccia e Vincenzo Maranghi in occasione della resistenza decretata da Via Filodrammatici proprio all’Opa UniCredit concepita da Profumo. Entrò quindi nel nocciolo della Bnl, pure privatizzata, nel quale si ritrovò in consiglio anche a fianco di Caltagirone.

I due si divisero nel 2005: Della Valle appoggiò l’Opa del Bbva e il presidente Luigi Abete; Caltagirone si associò alla Popolare italiana di Fiorani e agli immobiliaristi romani (Statuto e Ricucci) nell’appoggiare l’Opa Unipol, gradita alla Banca d’Italia di Antonio Fazio, ma stoppata da Consob e magistratura. Grazie anche all’intervento di Guido Rossi, la Bnl fu acquistata interamente dalla francese Bnp e Della Valle realizzò una buona plusvalenza sul suo pacchetto. Titolare di un pacchetto importante di Rcs (dove è dichiaratamente pronto a salire fino a un ruolo potenziale di azionista di riferimento), a Della Valle è stato invece per ora interdetto l’ingresso pieno in Mediobanca. Con Caltagirone (e anche Del Vecchio) non ha mancato di incrociare le lame un anno fa, in occasione dell’estromissione di Cesare Geronzi dal vertice delle Generali.

Al dunque: fuori Ligresti e Pesenti, dentro Caltagirone e Della Valle, invariato Del Vecchio, affiancato in UniCredit dalla famiglia Maramotti (proprietaria anche del Credem). Qualcosa – a questo lato del tavolo – è cambiato: ed è chiaro che si tratta di movimenti potenzialmente interessanti per l’evoluzione del quadrante UniCredit-Mediobanca-Generali- (Telecom-Rcs). Ma è certamente presto per intravvedere traiettorie all’ombra del “governo dei banchieri” (in concreto: dell’ex amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Corrado Passera, sostituito in banca dall’ex consigliere di UniCredit Tommaso Cucchiani).

Nel mentre Profumo rischia di finire sotto processo per frode fiscale. Per Alfredo Robledo, procuratore aggiunto di Milano delegato ai reati contro la Pubblica amministrazione, hanno profilo penale (e non solo amministrativo-tributario) alcune operazioni elusive messe in atto con la sponda di grandi banche estere. Mentre il reato di “abuso del diritto” attende ancora una definizione giuridica corretta, Robledo conferma la sua fama di magistrato italiano di punta contro i presunti abusi compiuti dal sistema bancario in tutti i campi (è ancora lui l’inquirente del processo-benchmark in svolgimento a Milano contro le grandi banche estere venditrici di derivati).

Nel mirino è finito in ogni caso il più prestigioso e simbolico dei banchieri italiani degli anni del big bang finanziario italiano. È superfluo riepilogare ciò che Profumo – a Credit-UniCredit ininterrottamente per quindici anni – ha significato in Italia e in Europa: la cultura della creazione di valore per l’azionista, la crescita esponenziale del “Roe” trimestrale, la trasformazione di una classica banca retail italiana in un supermarket di servizi finanziari (soprattutto asset management per le famiglie e corporate finance per le Piccole e medie imprese), le fusioni a catena, l’ultima perfino con una grande banca tedesca.

Se Profumo subirà davvero un processo, esso ha una discreta probabilità di trasformarsi in una “Norimberga” che attorno a Wall Street o alla City non si è mai celebrata e mai si celebrerà: al massimo a un banchiere britannico in pensione dorata è stato tolto il titolo di baronetto. Mentre dell’ex Ceo di Lehman Brothers, Dick “Pugnale” Fuld, si sono perse le tracce: comunque nessun magistrato lo sta seriamente perseguendo. Mentre in Italia – e questo impone certamente un momento di riflessione – Profumo rischia la sbarra poco più di un anno dopo le sue dimissioni. Nessuno ovviamente, discute il merito delle indagini di Robledo, conosciuto come investigatore duro e aggressivo, ma capace di vincere processi impegnativi: in ogni caso solo il Gip ha il potere vincolante di valutarne la validità e la correttezza. Tuttavia vi sono elementi per parlare di possibile replay – almeno oggettivo, in termini latamente politici – dei processi contro l’ex Governatore Antonio Fazio.

Lo si è già scritto in queste note: può darsi che – tecnicamente – l’operato di Fazio come vigilante nelle Opa AntonVeneta e Bnl sia stato irregolare e penalmente rilevante. Ma nei fatti si è condannato – formalmente per aver vigilato male sulla solidità delle sue banche – un banchiere centrale che ha lasciato un sistema creditizio capace di resistere allo tsunami finanziario provocato da banche estere mal vigilate da altri banchieri centrali, su scala enormemente superiore. Profumo ha abusato del diritto per eludere la tassazione e sostenere utili, dividendi, valori in Borsa? Lo decideranno i magistrati italiani dopo regolari procedimenti, nei quali Profumo si è già detto «felice di poter finalmente spiegare».

È tuttavia difficile non pensare che l’Italia è lesta a processare le pagliuzze dei suoi banchieri, mentre i paesi tradizionali accusatori dell’Italia con molta fatica fanno pagare dazio ai loro banchieri per le gigantesche travi lasciate cadere su Borse, risparmi, crediti, redditi, posti di lavoro, conti pubblici. (Solo una malizia dietrologica può invece spingersi a intravvedere nel pressing giudiziario su Profumo – anche solo oggettivamente – un momento interdizione di un banchiere “in riserva della Repubblica” che si era autorevolmente candidato come ministro dell’Economia. Non è certamente questa la “transizione italiana” che tutti ci possiamo augurare).