I cosiddetti “scandali” – nella grande finanza – sono quanto di più magmatico e opinabile: il capo della Lehman Brothers, Dick Fuld – simbolo della più grave crisi economico-finanziaria globale mai deflagrata – non s’è ancora fatto un solo giorno di galera, né ha subito sanzioni alcuno di coloro che dovevano vigilarlo a Wall Street. Poco prima, il Governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, è stato rimosso e ha subito poi dure condanne penali per non aver vigilato correttamente su operazioni bancarie in Italia, che non hanno comunque provocato alcun fallimento.



Durante “Mani pulite”, la maxi-tangente Enimont a lungo cercata fra i bilanci dai Pm milanesi fino a quando arresti e confessioni la accertarono, in una cornice tragica: il doppio suicidio del presidente dell’Eni, Gabriele Cagliari, e di quello di Ferruzzi, Raul Gardini. Pochi anni dopo – al culmine del boom dei mercati -, la “madre di tutte le Opa” (quella su Telecom) emanò un forte odore di “dazioni”, ma non furono mai provate (e in fin dei conti mai cercate per davvero).



Il crac Parmalat ha visto Calisto Tanzi duramente condannato a Parma, mentre a Milano le grandi banche internazionali “spoliatrici” di Collecchio ne sono uscite tutto sommato indenni. La piccola Procura di Trani ha messo sotto inchiesta Standard & Poor’s per gli annunci ripetuti che, dalla scorsa primavera, hanno fatto esplodere lo “spread” italiano: ma naturalmente al quartier generale newyorkese dell’agenzia di rating a mala pena lo sanno (oppure se la ridono, magari assieme ai gestori che hanno speculato a colpi di miliardi di euro sui Btp).

Non sempre l’esistenza e la dimensione di un fatto finanziario, la sua eventuale valutazione in termini giudiziari e la sua percezione ultima nell’opinione pubblica (modulata dai “media”) coincidono: ed è il mix sempre cangiante di queste tre condizioni a determinare la sostanza di un cosiddetto “scandalo” e i suoi diversi impatti



Fatta questa premessa, veniamo al caso del giorno scoppiato attorno al Montepaschi. Non è ancora del tutto chiaro quali siano le ipotesi di reato su cui la Procura di Siena ha aperto un fascicolo dopo una spettacolare azione della Guardia di finanza presso istituti di credito di mezza Italia (compresa Mediobanca) e con il viatico mediatico di una tempestiva puntata di “Report”, nel bel mezzo di un weekend elettorale. Da un lato par di capire che nel mirino ci sarebbero operazioni recenti per il presunto reato di aggiotaggio.

Lo scorso autunno la Banca Mps – premuta anche da Banca d’Italia ed Eba – ha dovuto varare un aumento di capitale per puntellare un bilancio tuttora minato dalla costosissima acquisizione di AntonVeneta poco più di quattro anni fa. L’operazione ha messo sotto pressione soprattutto la Fondazione, che non ha mai voluto rinunciare al controllo assoluto della banca senese (a fine 2011 era ancora al 48%) e che d’altronde aveva dovuto indebitarsi per far fronte, nel 2008, all’ingente aumento di capitale deliberato dalla banca per finanziare il piano AntonVeneta.

Un caso praticamente unico in Italia, laddove invece le Fondazioni di origine bancarie – ormai tutte azioniste di minoranza delle ex banche pubbliche – continuano a detenere patrimoni positivi, non gravati da debiti. Ancora più in dettaglio, i forti cali dei titoli bancari in Borsa legati alle ricorrenti turbolenze sui mercati, avevano spinto il titolo Mps a valori talmente bassi che i pacchetti posti a garanzia dei debiti della Fondazione presso altre banche non erano più sufficienti a garantire i finanziamenti.

Questa pressione giungeva proprio quando la Fondazione stava cercando di concretare una complessa operazione-ponte che avrebbe stabilizzato gli equilibri finanziari, abbassando peraltro il livello del controllo al 36% (comunque sopra la “soglia Opa” che limita la contendibilità). È in questa fase che i corsi dei titoli Mps sarebbero stato “manipolati” (sostenuti) per non rendere irreparabile la fase critica. Sarebbe stata la Consob, si dice, a rilevare le anomalie e a segnalarle alla magistratura.

Se le cose sono andate così – lo capiremo eventualmente nei prossimi giorni – le prime considerazioni potrebbero essere le seguenti: non siamo in un ambito di illeciti legati alla corruzione politica, alla truffa, alla malversazione, al depauperamento; ci troviamo invece di fronte a pratiche quotidiane in Borsa, in Italia e nelle grandi piazze globali. E – premesso che l’aggiotaggio e i più giovani “insider trading” e “abuso di mercato” sono i più classici reati “diabolici” da provare – c’è un caso recente a dimostrare la scivolosità di “scandali” cosiddetti fra operatività di mercato, gestione giudiziaria dei fatti e dinamiche mediatiche. quello che coinvolse alti dirigenti di Exor (tra cui l’ex presidente Gianluigi Gabetti, a lungo braccio destro di Gianni Agnelli) per l’accusa di aver manipolato informazioni e operazioni di mercato sui titoli Fiat nel 2005.

All’esito triennale del prestito “convertendo” con cui nel 2002 le grandi banche avevano salvato il Lingotto, Exor (la famiglia Agnelli) rischiava di perdere il controllo della Fiat, ma congegnò in segreto un “equity swap” con Merrill Lynch con cui risalirono al controllo al momento giusto. Vi fu sicuramente un’occasione in cui Exor e Fiat comunicarono il falso ai mercati e non a caso la Consob irrogò una sanzione. Ma alla sbarra penale, nonostante le richieste dei Pm di Torino, tutti gli accusati furono assolti.

La “narrazione” di Milena Gabbanelli, domenica sera, ha però ventilato un ben diverso “scandalo” all’ombra di Rocca Salimbeni: il prezzo pagato dal Montepaschi per l’acquisto di Antonveneta – quasi 10 miliardi di euro per cassa – appare esageratamente alto rispetto (a dire della giornalista) dei 6,3 miliardi pagati “poco prima” dal venditore, lo spagnolo Banco Santander. L’ipotesi fatta balenare è quindi quella di valori talmente “gonfiati” da far sospettare l’esistenza di fondi neri, tangenti, commissioni improprie, ecc.: quello che, insomma, si celava per davvero nella risolutiva Opa Eni su Enimont oppure si è sospettato fossero nascoste tra le pieghe dell’Opa Telecom (oppure nel successivo passaggio da Hopa a Pirelli). Qui sì saremmo in un ambito grave di malversazione: per di più coinvolgendo i Botìn, una delle poche famiglie tuttora “regnanti” nel sistema bancario internazionale.

Quel che è agli atti – cioè alle cronache finanziarie – è che il Montepaschi concluse con Antonveneta una filiera di acquisizioni tutte costose e per cassa: Banca Agricola Mantovana, poi Banca del Salento (gruppo pugliese molto vicino al leader ds Massimo D’Alema) e infine AntonVeneta, alla vigilia di una crisi bancaria che ha mandato in pezzi bilanci e strategie delle banche di tutto il mondo. L’approccio del Monte è stato in ogni caso unico, imposto dal vincolo socio-politico di mantenere il controllo della banca a una Fondazione strettamente controllata dagli enti locali senesi: con un’autoreferenzialità che dal 1472 ha avuto la meglio, recentemente, tanto del regime fascista quanto anche del tradizionale “patronage” nazionale del Pci-Pds.

Che una banca vada in crisi di bilancio e il suo azionista di rifermento veda vanificato il suo controllo è un classico “peccato” sanzionato dal mercato prima che, eventualmente, dalle autorità di vigilanza. Ed è sicuramente grave – prima ancora dell’intervento della magistratura – che la Fondazione Mps non abbia agito con la prudenza e la lungimiranza che sarebbero imposte a tutte le Fondazioni, soggetti chiave della sussidiarietà attraverso la gestione di patrimoni “civili”. Nessun stupore se i responsabili di un dissesto si facciano da parte e che un’istituzione in difficoltà venga eventualmente agganciata ad altre realtà più sane (sarà eventualmente compito del nuovo presidente Alessandro Profumo). Nessuna sorpresa neppure per le ripercussioni in una “piccola città” raccolta attorno a una banca-nutrice (il consiglio comunale del Palio sta andando in frantumi: anzitutto al’interno dell’egemonica maggioranza di centrosinistra).

Però prima di mescolare “peccati economici” con “grave delinquenza politico-finanziaria” aspettiamo. AntonVeneta fu strappata da Abn Amro alla Popolare di Lodi fra gli applausi del Financial Times, mentre Gianpiero Fiorani veniva condotto in carcere. Meno di due anni dopo la stessa Abn, pericolante, fu comprata da tre colossi internazionali: Royal Bank of Scotland (subito nazionalizzata durante la crisi del 2008), Fortis (salvata e fatta a pezzi dal governo olandese) e il Santander, la banca europea cui l’Eba ha sollecitato il più alto aumento di capitale necessario nell’eurozona. Il Montepaschi si è certamente svenato per ricomprare Antonveneta che, a quel punto, alla City non interessava più. Ma a differenza dell’Italia dipietrista e grillista, a Londra politici e magistrati se la prendono con Murdoch: non con le loro banche e le loro Fondazioni.