Qualcosa si muove sullo scacchiere bancario, piaccia o no piattaforma strutturale di molto di quanto sta avvenendo. A cominciare dall’Italia: dalla catena di suicidi dei piccoli imprenditori ai fuochi d’artificio del grillismo. Il fatto: la Banca d’Italia ha “validato” venerdì sera il nuovo modello avanzato di valutazione interna dei rischi creditizi e di mercato del Banco Popolare, quarto gruppo italiano, il maggiore a governance cooperativa.
Fin qui una notizia ultra-tecnica da stra-addetti ai lavori: una burocratica certificazione periodica, tra l’altro, che “Basilea 2” non cessa di affermare le sue regole. Che la filosofia globalista e mercatista concepita prima della crisi bancaria (e per molti versi fra le sue cause) resiste al centro della governance “tecnica” dei banchieri centrali, che restano il vero contraltare della politica. La conferma, comunque, di una visione dura a mutare: la JP Morgan (sì, quella delle ultime maxi-perdite su derivati a Londra) e il Banco Popolare (che finanzia gli artigiani del Nord Italia) devono adottare le stesse tecniche per intermediare i loro fondi. E poco importa se i risultati restano poi quelli che si vedono: quasi un nuovo caso Lehman Brothers quattro anni dopo tra Wall Street e la City; e un drammatico razionamento del credito in una delle aree produttive trainanti dell’Eurozona.
La vera “notizia” – forse un po’ migliore – è però un’altra. La “promozione” del Banco Popolare, il riconoscimento del suo “salto di qualità” nelle sue tecniche di concessione dei crediti ha aperto la strada a una valutazione diversa della sua solidità patrimoniale, della rischiosità implicita nel suo bilancio.
Anche questo non era imprevisto dalla nuova architettura di vigilanza microprudenziale (“Basilea 3”) ed era atteso che anche il Banco Popolare (come decine e decine di banche europee) potesse migliorare la sua pagella in vista dell’“esame di maturità” fissato al 30 giugno dall’Eba. La nuova authority bancaria europea, dopo l’ultimo, controverso stress-test, sulle banche europee, aveva imposto a tutte di allineare al 9% il cosiddetto “core tier1”, il principale rapporto fra base patrimoniale totale degli attivi (la misura, cioè, della “leva portante” nell’attività di ciascun gruppo).
Bene: il Banco Popolare fino a tre giorni fa era al 7,4%, non proprio vicino alla soglia di sicurezza Eba. Il gruppo (formatosi nell’ultimo decennio a partire dalle Popolari di Verona, Novara e Lodi) aveva scontato i problemi di risanamento dell’ex Popolare Italiana e l’imprevista crisi della controllata Banca Italease. Resta il fatto che il Banco ha dovuto far ricorso, temporaneamente, ai Tremonti-bond ed è stato costretto a utilizzare un aumento di capitale su mercato non per alzare i suoi coefficienti, ma soltanto per reintegrare la loro diminuzione. Di qui il “gap” rilevato dall’Eba, anche se in un vortice di polemiche che hanno visto, anche negli ultimi giorni, l’intero sistema bancario italiano alzare gli scudi contro l’Eba e premere su Governo e Banca d’Italia per ottenere almeno una “par condicio” in Europa.
Le banche italiane – che non hanno mai accusato fallimenti, né richiesto salvataggi pubblici e che stanno facendo la loro parte nel sostenere il debito pubblico italiano sotto attacco speculativo -, rischiavano di essere penalizzare rispetto a banche o sistemi bancari di altri paesi-membri dell’Ue (Spagna, Germania e Francia in testa) che avevano di più sui bilanci statali e che hanno i conti più zavorrati da derivati, più rischiosi e illiquidi dei Btp italiani
Ebbene: gli analisti di Borsa – ma forse lo stesso vertice del Banco Popolare – si attendevano sì dalla “promozione” Bankitalia un beneficio sostanziale, ma inferiore a quello che poi è risultato essere stato concesso. Secondo le prime simulazioni, il “core tier 1” del Banco è stato invece portato direttamente dal 7,4% al di sopra del fatidico 9% (addirittura al 9,4%) per decisione autonoma delle autorità creditizie italiane. È una buona notizia? Per il Banco Popolare, per i suoi soci e dipendenti e soprattutto per i suoi clienti certamente sì: non ci sarà bisogno di nuove operazioni sul capitale e il gruppo potrà erogare un po’ più di credito alle imprese dei suoi territori operativi.
È comunque una notizia in quanto tale (non una semplice comunicazione burocratica) interessante in sé per l’evoluzione del sistema istituzionale italiano ed europeo. In estrema sintesi: proprio Bankitalia – la banca centrale dell’Italia – sembra essere un po’ venuta meno a quel “rigore” che in questi giorni è il “mantra” del dibattito pubblico internazionale. Dando al Banco Popolare un pizzico più di fiducia di quanto probabilmente le regole di Basilea 2 e 3 suggerivano, la Vigilanza italiana ha dato una garanzia nazionale all’Eba, che forse non avrebbe “promosso” il gruppo italiano.
Nessuno, ovviamente confermerà mai questo dato di fatto e neppure la breve interpretazione che qui se ne tenta. Un’interpretazione che resta problematica: esattamente come quando il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, asceso al vertice della Bce ha attenuato il suo rigorismo (monetario e bancario) abbracciando l’incerta filosofia dello “stimolo” propria degli Stati Uniti. Eppure proprio Draghi, meno di un anno fa, aveva suggerito all’Italia una terapia “ultra-rigorista”: quella che ha portato Mario Monti alla guida del governo tecnico. Lo stesso Monti che ha messo il suo Paese a ferro e fuoco sul piano fiscale e previdenziale, ma che in Europa (e anche all’ultimo G8) ha vestito i panni della colomba “anti-rigorista”.
Entrambi, da decenni, come opinionisti e tecnocrati, conducono una guerra ideologica contro le banche della tradizione europea e a favore della finanza globale di mercato. Entrambi sono economisti di scuola liberista, contrari a ogni intervento pubblico sul mercato e convinti che solo i fondamentali economici (produttività del lavoro, competitività esterna delle imprese, rigore fiscale, ecc.) garantiscano sviluppo
La “micro-decisione” adottata sulla quarta banca italiana da Ignazio Visco, il neo-governatore fedelissimo di Draghi e Monti, non appare dunque così “micro” se collocata sullo sfondo di un confronto-scontro decisivo tra forze politico-finanziarie globale: uno sfondo nel quale la stessa crisi greca – o quella italiana – appaiono macro-pretesti per regolamenti di conti strutturali.
Su queste colonne abbiamo proposto più volte modesti spunti di riflessione: il cancelliere Merkel continua ad aver ragione – in linea di principio – quando contesta (anche al presidente Usa Obama) il lassismo monetario se questo deve servire alle JP Morgan di turno per continuare a speculare contro i debiti pubblici europei, con la complicità sempre più aperta delle agenzie di rating. La liquidità in abbondanza – contro ogni annuncio, più o meno in buona fede – continua a non servire per ricreare crescita e occupazione, ma solo a mantenere i rischi di instabilità finanziaria e inflazione (peggio: stag-flazione).
È contro questa intransigenza tedesca che i leader italiani (Monti e Draghi) sembrano essersi riposizionati in fretta su una sponda presidiata ora dal neo-presoidente francese Hollande a fianco di Obama, ormai in campagna elettorale. Ai socialisti francesi la posizione dialettica rispetto al rigorismo tedesco ha portato bene sul piano politico-elettorale, ma è ancora tutto da vedere se ciò sarà di beneficio a tutti i francesi (disoccupati, contribuenti, ecc.).
Ai cristiano-democratici tedeschi il rigorismo della loro leader è finora costato molto sul piano politico locale, ma l’Azienda Germania resta la locomotiva economica europea e i conti elettorali si tireranno solo nella primavera 2013. Allora già si saprà se la condiscendenza di Obama verso il sistema bancario globale sarà stata la sua fortuna o la sua rovina: se i contributi elettorali di Wall Street (e sarebbe anche questa una notizia) avranno definitivamente la meglio sull’opinione pubblica democratica.
Nel frattempo anche i tecnocrati italiani – che in Italia o all’estero del tutto “tecnici” non sono mai stati – dovranno vedersela: con il loro passato di rigoristi europei in teoria, “ma anche” di mercatisti globali in pratica; con il loro presente di apprendisti stregoni, premuti dai loro storici mentori americani, dagli italiani che ora amministrano loro, dal cancelliere tedesco che ha affittato loro la stanza dei bottoni Bce e Palazzo Chigi, cacciando lei Berlusconi.