Al di là dell’usuale coro di consensi, il primo 31 maggio di Ignazio Visco ha lasciato più di un uditore fra il deluso e l’interdetto. Non per il merito delle “Considerazioni iniziali” del neo-Governatore, come sempre poco discutibili sul piano dell’analisi e dell’utilità. Piuttosto, ieri in Via Nazionale per l’assemblea 2012 della Banca d’Italia c’erano personaggi che hanno potuto ascoltare dal vivo le poderose lezioni di Guido Carli e Paolo Baffi, i fermi “memorandum” di un Carlo Azeglio Ciampi, le sottili e colte polemiche anti-globaliste di Antonio Fazio o – ultimamente – il piglio cosmopolita e mercatista di Mario Draghi.



Non c’è dubbio che Visco ha almeno “tutto un mandato davanti” (sette anni) per delineare il suo personaggio e il suo stile. E che la cornice del suo intervento di ieri – il primo veramente istituzionale da quando è entrato in carica – era la meno facile: lo spread italiano a 467, la crisi spagnola che replica sempre di più quella greca; un governo sotto pressione sulla spending review, un establishment finanziario in subbuglio per l’arresto dell’ex presidente della Bpm, Massimo Ponzellini o per il preannuncio di dimissionamento per l’amministratore delegato delle Generali, Giovanni Perissinotto. In platea, a palazzo Koch, Giorgio Squinzi, un presidente della Confindustria “non mandato dalla Fiat”, e un leader dei banchieri, Giuseppe Mussari, stretto fra l’inchiesta Mps e – ancora di più – dal pressing dell’Europa sui bilanci delle banche italiane.



In un 31 maggio così, non ha in fondo stupito che la Relazione sia stata smilza e fin troppo tecnica. Del resto non è facile parlare a Roma un’ora dopo che Mario Draghi è intervenuto al Parlamento europeo accelerando sull’utilizzo del Fondo salva-stati per ricapitalizzare le banche spagnole crivellate dalle schegge della “bolla immobiliare” e dall’attacco speculativo ai Bonos. Resta il fatto che – nel Visco pensiero – l’appello al Governo a non eccedere nella pressione fiscale è contenuta in una riga nella penultima pagina: è un titolo di giornale, non il ragionamento di un banchiere centrale. Né d’altronde è possibile pensare che Visco non abbia proprie idee “chiare e distinte” su come afferrare per le corna il dualismo “rigore/stimolo” che sta ormai impegnando il cancelliere tedesco Angela Merkel contro il resto dell’Occidente in crisi.



Visco, comunque, nulla ha detto sulla politica economica, preferendo concentrarsi nel suo ruolo di “vigilante bancario”. Qui sì (vedi anche lo spillo-flash pubblicato su Il Sussidiario di ieri mattina) il Governatore ha preso posizione a favore delle “sue” banche vigilate, restituendo qualche colpo a un fronte imprenditoriale attardato nella semplice denuncia del credit crunch. Ma sul resto (la ripresa che non arriva, l’accidentata riforma del mercato del lavoro, i nodi della “spending review”) Visco si è limitato a una lista stringata di fatti compiuti o di status quo.

L’impressione finale rimane che un altro “super-tecnico” si sia aggiunto alla sempre più numerosa schiera dei governanti “non eletti”. I silenzi guardinghi di Visco appaiono quelli di chi si sente molto più membro del consiglio generale della Bce che capo del direttorio della Banca d’Italia. L’Europa invoca un salto di qualità politico-fiscale per completare un’Unione per ora soltanto tecnico-monetaria, ma intanto si accentua il confronto banchieri-politici. In Italia si prepara una campagna elettorale che dovrebbe archiviare in fretta la democrazia sospesa dei tecnocrati, ma intanto il banchiere centrale viene meno alla sua funzione tradizionale di alto consigliere del governo nazionale su ciò che non va e su ciò che dovrebbe essere fatto.