La buona notizia (per l’Europa, Italia a bordo) è che l’Europa funziona: per salvare il sistema-Spagna, la “governance” politica dell’Ue si è mostrata capace di mettere in azione in tempo reale i nuovi strumenti tecnico-istituzionali di cui si è dotata per superare la crisi e prevenirne ricadute. La notizia – né buona, né cattiva per l’Italia – è che l’Europa “della signora Merkel” è certamente diversa da quella della prima metà del secolo scorso. Niente nazismi o fascismi, niente guerre suicide all’orizzonte nel Vecchio Continente, ma chi non riesce a stare dentro l’Europa disegnata dalla Germania diventa un Paese “di serie B”, pur senza indulgere nella retorica dell’ungherese transfuga George Soros (“L’Europa rischia di diventare un’immensa periferia di Berlino”). Da stamattina l’Europa è “a due velocità”, come lo stesso cancelliere tedesco ha prospettato, disegnando un’accelerazione dell’unione fiscale e politica a ruota di quella economico-monetaria.



La parola, tuttavia, nell’Europa democratica, resta agli elettori: anzitutto a quelli greci, domenica prossima. E l’Europa “della signora Merkel” – ad avviso partigiano di chi qui scrive – può andare orgogliosa di aver costruito una situazione politico-finanziaria trasparente. Gli elettori ellenici dovranno dire loro – all’Europa e ai mercati – se vogliono rinnovare l’iscrizione al club dell’euro oppure no. Lo potranno fare avendo avuto un’ennesima prova di come l’Unione sappia essere responsabile nei confronti di focolai di crisi. Lo faranno soppesando un po’ di più in “quale Europa” possono scegliere di restare e con quali regole. 



Se la Grecia lascerà il tavolo, avverrà in modo chiaro, anche se ovviamente andrà costruita una procedura sotto la pressione dei mercati. E questi cercheranno di utilizzare l’effetto-precedente a loro modo: “scommettendo” sull’uscita di altri paesi. Ma ai mercati conviene davvero uno tsunami dell’euro? Oppure è più geo-politica e riguarda gli equilibri con Usa, Cina, altre aree “emerse”? Più che mai saranno alla prova tutte le batterie finanziarie, politiche, mediatiche: il “problema” è che l’eurozona non funziona (come sostiene in questi giorni anche la Casa Bianca)? Oppure il fatto che, malgrado tutto, l’eurozona funzioni è un problema per la Casa Bianca? Il problema è come l’Europa alla fine salva le banche spagnole o il fatto che gli Usa continuano a non impedire che la JP Morgan di turno destabilizzi i mercati? Il problema di Obama è un preteso rischio-euro fuori controllo o il sostegno di Wall Street alla sua rielezione il prossimo novembre?



Certamente, lo sviluppo della “governance” europea deve tutelare la “par condicio” fra le diverse solidarietà. La Spagna ha dichiarato un “default” virtuale ed è stata salvata in un fine settimana: eppure pochi mesi fa era ancora additata ad esempio all’Italia, cui invece non è stato risparmiato nulla. L’aiuto “indiretto” della Bce (il sostegno a Bot e Btp attaccati dalla speculazione) è stato pagato al carissimo prezzo di un’ipertassazione e di una pesante riforma delle pensioni, imposte con un diktat che ha prodotto la virtuale sospensione della democrazia parlamentare nel Paese.

I bond sovrani nazionali hanno poi gonfiato i portafogli delle banche italiane, cui l’Eba ha imposto valutazioni di anomala severità sulla solidità patrimoniale, con nuove spirali negativa in Borsa, sui mercati interbancari, sul fronte del credit crunch. Ancora una volta in crisi pesantissima erano le banche di un Paese, la Spagna, che ha potuto tenere libere elezioni. Come del resto la Grecia. E alla quale sono stati risparmiati tutti i moralismi di cui l’Italia “impresentabile” è stata oggetto nell’estate 2011.

Nell’Europa “a due velocità”, l’Italia è oggi chiaramente in “serie B”: anche se, curiosamente, sarà interessante vedere come potrà eventualmente articolarsi un “doppio euro”, nel quale ai paesi periferici sarebbero riservato qualche margine di manovra sul fronte della competitività valutaria. Tornerebbero i tempi in cui la valuta italiana (lira o “euro-2”) doveva provare a essere sempre abbastanza rivalutata sul dollaro e abbastanza svalutata sul marco. Tornerebbero i tempi dell’euro preistorico (lo Sme e i suoi vari “serpentoni”). Ma chi lo vuole davvero?