La riconferma di Giuseppe Mussari alla presidenza dell’Abi è stata laboriosa; ma non è detto che le cinque settimane di dilazione, di consulti interni, di pressioni esterne e anche di gossip non si rivelino un investimento. Per l’Assobancaria e per l’Azienda Paese. Il Presidente uscente sarebbe stato confermato senza esitazione già il 16 maggio, dai cinque saggi: Alessandro Azzi (Bcc e Popolari) “chairman” del collegio; Giovanni Bazoli (Intesa Sanpaolo); Federico Ghizzoni (UniCredit); Giovanni Berneschi (Acri: Casse di risparmio e Fondazioni); Camillo Venesio (banche private).

Il primo biennio di Mussari aveva ottenuto già allora una promozione a pieni voti: come lobbista istituzionale di banche e banchieri Mussari ha segnato la rottura che gli si chiedeva. Attaccato da ogni lato, il sistema creditizio italiano ha trovato nel banchiere toscano un volto e soprattutto un braccio che in passato non aveva mai avuto: si trattasse di replicare duramente all’Eba, discriminatoria nell’applicare alle banche italiane gli standard di Basilea 3; di mandare a quel paese gli industriali all’offensiva sul “credit crunch”; di opporre al governo Monti-Passera le dimissioni clamorose dell’intera presidenza Abi di fronte a un emendamento malandrino al decreto liberalizzazioni che aboliva per legge tutte le commissioni bancarie.

Ciò che ha impedito un rinnovo “in automatico” era stata la notizia (a orologeria?) che la procura di Siena ha aperto un’inchiesta articolata sul Montepaschi: il gruppo senese al vertici del quale Mussari ha ricoperto in un decennio la presidenza della Fondazione, poi quella della banca. Che la situazione di Mps sia difficile da anni non è un mistero sui mercati. All’origine dei problemi è l’acquisizione di Antonveneta dal Santander, dopo che nel 2007 l’Abn Amro finì preda di una maxi-Opa internazionale, seguita alla bollente estate 2005 (scalate di Bpi sulla stessa AntonVeneta e di Unipol su Bnl).

L’operazione da 9 miliardi di euro (lievitati a 10 alla conclusione) col senno di poi si è rivelata oltre le possibilità del gruppo toscano: ma all’epoca fu autorizzata senza esitazioni dalla Banca d’Italia di Mario Draghi, che non vedeva di buon occhio un nuovo “colpo” di Bnp in Italia dopo Bnl. Inoltre, il valore “di mercato” di Antonveneta era stato alzato dalla stessa Opa Abn, condotta in porto con l’aiuto decisivo della procura di Milano (sequestro del 40% rastrellato dalla Popolare Italiana).

L’altra metà dell’inchiesta della procura di Siena è la diretta conseguenza della prima: il crollo di Borsa di Mps – più accentuato ancora di quello che ha colpito dopo il 2008 l’intero sistema bancario italiano – ha costretto la Fondazione ad acrobazie finanziarie pur di mantenere il controllo della banca, obbligata a ricapitalizzare. I magistrati stanno indagando su presunte anomalie nella quotazione del titolo: ma (su Il Sussidiario lo si è già notato) questo avviene quando il presidente di JPMorgan Chase, Jamie Dimon, se la cava con un’audizione parlamentare per un ennesimo “minicrack” miliardario su derivati.

Ecco, la prima delle sfide di Mussari – e dell’Abi dietro a lui – e forse la più spinosa da sottolineare è appunto l’aggiustamento della credibilità bancaria italiana sul fronte giudiziario. I saggi dell’Abi (tra i quali Bazoli era particolarmente cauto) hanno concesso cinque settimane ai magistrati, che peraltro non hanno finora mai indagato Mussari. Trascorso questo periodo, non se la sono sentita di “fucilare alle spalle”, in via sommaria, il presidente dell’Abi in via di rinnovo: perché togliergli la fiducia “a prescindere”, dando peso assoluto all’apertura di un fascicolo? Perché depotenziare l’Abi stessa? A nessun osservatore può sfuggire che si tratti di un profilo di capitale importanza (lo stesso presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, è sfiorato da “schegge” malevole di indagini).

Uno stato di diritto degno di questo nome non può certo tollerare gli errori dei banchieri – se questi hanno rilevanza giudiziaria. Ma mai come in questa fase – soprattutto al confronto internazionale – il sistema-Italia non può concedersi “errori” da parte dell’autorità giudiziaria: soprattutto nei critici territori della finanza, nei quali la violenza della crisi ha tolto ogni condivisione di standard. Il recupero di credibilità è del resto la principale fra le due sfide strategiche – aperte – della presidenza “Mussari-2” in Abi.

Credibilità sul mercato domestico, presso le famiglie che chiedono servizi bancari efficienti a costo ridotto e una migliore tutela dei risparmi. Credibilità verso le imprese, che si sentono strangolate dal “credito razionato”. E quest’ultimo tema porta a un’ulteriore declinazione della credibilità esterna: quella verso le autorità europee che hanno tagliato le gambe ai bilanci dei gruppi italiani, pieni di titoli di stato maltrattati dalla speculazione.

Proprio su questo versante l’Abi di Mussari ha ottenuto un primo successo non scontato: avere dalla propria parte la Banca d’Italia del neo-.governatore Ignazio Visco. Quest’ultimo – nelle sue Considerazioni finali d’esordio – ha dato totale copertura alle “sue” banche vigilate, e – di più – ha dato il massimo dei voti a Banco Popolare e Ubi, quando si è tratto di validare i nuovo sistemi di rating interno ai fini dei nuovi coefficienti Eba.

Una quarta sfida – per ora sommersa – è probabilmente quella che attenderà l’Abi nel corso di una campagna elettorale complessa e virtualmente già cominciata. Se Silvio Berlusconi sta preannunciando una sfida spregiudicata all’insegna dell’“Italia fuori dall’euro”, nessuno può dimenticare che Beppe Grillo nasce sulle piazze dei risparmiatori inferociti. È assai probabile che il sistema creditizio sarà il convitato di pietra di una fase cruciale della storia italiana: e Mussari – metà tecnico, metà politico – sarà alla sua prova finale.