“Le Fondazioni non sono poteri forti”, dice Giuseppe Guzzetti, presidente dell’Acri, in uno dei passaggi-chiave della sua relazione introduttiva al congresso. Lamenta, neppure troppo in filigrana, gli attacchi che vengono dai “poteri forti”. Anzitutto un report-siluro dell’ufficio studi londinese di Mediobanca che, proprio alla vigilia del congresso di Palermo, rilancia una vecchia idea dell’istituto di Piazzetta Cuccia: costringere gli enti a vendere tutte le loro partecipazioni bancarie al Tesoro in cambio di Btp. Ma di poche settimane fa è l’affondo dell’economista ultra-liberista Luigi Zingales sul Il Sole 24 Ore: le Fondazioni come “male assoluto” di un capitalismo anomalo, spirale viziosa di rapporti sbagliati e pericolosi fra poteri pubblici, sistema finanziario, welfare e società civile. Guzzetti s’arrabbia: racconta di Fondazioni che ricapitalizzano le banche perché resistano a difesa delle imprese, di sussidiarietà realizzata, di “welfare di comunità”, di aiuti ai giovani ricercatori e agli anziani senza più servizi pubblici, di ripresa economica e di coesione sociale.
Passano due ore e il premier Mario Monti compare in videoconferenza: manca un’ora al Consiglio dei ministri, al giro di boa di un’altra giornata convulsa fra politica e mercati. “Caro presidente Guzzetti, mi fa piacere stare con voi una mezz’ora, ora che mi pare di aver perso l’appoggio del quotidiano dei cosiddetti “poteri forti” e della Confindustria. Meno male che ci siete almeno voi a starmi vicino: ma voi siete poteri fortissimi…”.
Non è demagogia a buon mercato. Il premier racconta di quando era commissario a Bruxelles e dovette affrontare le Casse di risparmio tedesche che non volevano perdere le garanzie pubbliche; dieci anni dopo che l’Italia aveva varato una riforma bancaria d’avanguardia, fondendo grandi banche pubbliche e private e creando le Fondazioni come motore della sussidiarietà. Al Monti del 2012 il “souvenir” serve per lanciare l’ennesimo appello alla Germania: indiscussa locomotiva d’Europa, ma spesso rigida nel raccogliere gli input migliori che vengono dagli altri paesi dell’Unione.
Però, il ragionamento si muove tutto all’interno di un “duetto” inimitabile tra l’attuale presidente della Fondazione Cariplo e il figlio dell’ex direttore generale della Cariplo di Giordano Dell’Amore. “Mi sento orgoglioso di essere italiano quando so che Obama la chiama per avere consigli”, dice Guzzetti. E Monti, tutt’altro che “algido”: “Certe cose le ho respirate in casa”, modello lombardo, quando la Cariplo e la Bocconi erano – più di oggi – espressioni diverse di una stessa visione “milanese” delle cose.
Monti e Guzzetti non fonderanno mai un nuovo partito, non correranno alle prossime elezioni: non ne hanno bisogno. Così come la sussidiarietà rimane una strategia evolutiva della vita civile e fallirà se diventerà un progetto politico o un partito. Però non è certamente casuale che il “cattolico democratico” Guzzetti e il “cattolico liberale” Monti si ritrovino nella “politica ultraliquida” del giugno 2012 a condividere la leadership reale del virtuale “partito della sussidiarietà”.