Non ha tutti i torti Michele Arnese, amico-di-penna su Il Sussidiario, al quale appaiono “un bel salasso” i 3,4 miliardi erogati dal Tesoro per rimpannucciare il patrimonio del Montepaschi. Ed è vero che – a prima vista – i Monti-bond sono un po’ meno tranquilli e redditizi di quanto lo siano stati i fratelli maggiori Tremonti-bond sottoscritti per lo stesso Mps, oltreché per Popolari come il Banco veronese, la Milano, il Creval. Allora le cedole (molto onerose per le banche finanziate) erano certe per lo Stato creditore e non immediatamente convertibili in azioni. Allora però lo stesso Tesoro poteva ancora arbitrare senza grossi problemi collocamenti sui mercati di titoli garantiti e i bilanci stessi delle banche sostenute erano meno premuti dall’effetto-spread e dalla recessione.



Volendo comunque a tutti i costi essere un po’ dialettici con Michele – in attesa di vedere se l’effetto-Profumo continuerà a dar gas al titolo Mps (+33% in tre sedute, benché da valori centesimali) rimane l’impressione che i rischi-svalutazione per il Tesoro rimangano “noccioline” rispetto ai 2,7 miliardi di perdite già contabilizzate all’inizio del 2012 su derivati di copertura sul debito pubblico chiusi da Morgan Stanley (per non parlare dei 30 miliardi di rischi tuttora accesi). E a proposito di finanza strutturata: il collasso finale del Mps non è stato prodotto da un’eccessiva esposizione a titoli tossici (come per decine di banche europee crollate dopo il 2008), quanto per la controversa acquisizione di AntonVeneta: di cui più volte si è scritto su queste pagine.



Non c’è dubbio che “ricomprare” all’Italia – a carissimo prezzo pagato per cassa – l’oggetto del violento contendere fra Abn Ambro e la Popolare italiana sia stata responsabilità principale del vertice senese: e in particolare della Fondazione proprietaria che voleva far crescere il gruppo senza diluire il controllo con concambi azionari. È però vero che su quella Fondazione vigilava il Tesoro (con lo stesso Grilli direttore generale), mentre la supervisione sulla banca – cioè sulla sua stabilità patrimoniale dentro il sistema – era della Bankitalia di Mario Draghi. E nessuno dei due “cani da guardia” risulta abbia eccepito su un’operazione che oggi ha attirato l’attenzione della magistratura.



Del potenziale “salasso” di oggi non sarebbe quindi inopportuno chiedere conto anche ai due super-tecnici nel frattempo promossi a ministro e a Governatore della Bce: esattamente come delle rischiose scelte anti-rischio adottate dal Tesoro negli anni ‘90 (con Draghi direttore generale e Grilli braccio destro). “Salassi” che – potenziali o reali – nulla hanno a che fare con le debolezze strutturali dell’economia e della finanza pubblica dell’Azienda-Italia. Il cui bistrattato sistema bancario è uscito quasi definitivamente sulle proprie gambe dalla crisi.

L’eccezione è sicuramente il Montepaschi, cui tuttavia è stato consentito di proseguire lungo una traiettoria anomala di città-banca, insostenibile nelle dimensioni che ha ormai raggiunto Rocca Salimbeni. Per questo, in fondo, non sarebbe male che Mps venisse simbolicamente “ri-nazionalizzato” per essere definitivamente privatizzato: con al vertice Alessandro Profumo, il cui avvento nell’establishment finanziario italiano come quarantenne amministratore delegato del Credit appena privatizzato vent’anni fa, fu uno degli effetti più positivi di quella stagione.