Piazza Affari “riapre” oggi con molti post-it, ma poche certezze. Unipol-FonSai arriverà al traguardo, e come? L’asta su un consistente inoptato lascia ancora qualche chance a chi crede che il tormentato progetto di fusione-salvataggio non abbia conosciuto ancora il suo ultimo capitolo. E Mediobanca, “madre” sempre più travagliata di quel “merger”? Piazzetta Cuccia, acquetatosi per ferie l’uragano giudiziario che ha investito l’amministratore delegato Alberto Nagel, ha però dovuto smentire ennesime voci di scissione: quanto meno di valutazione pre-sollecitata, si è detto nei giorni scorsi, da qualche grande azionista in vista della riunione settembrina del patto, per la chiusura di un bilancio difficile.



Una fusione per risanare e rilanciare due grandi gruppi nel loro business assicurativo da un lato; dall’altro un’ipotesi di “de-merger” fra attività bancarie e gestione di grandi partecipazioni strategiche (Generali, Rcs, Telecom), per superare un modello di capitalismo industriale che da almeno mezzo secolo fa da baricentro all’Azienda-Italia. C’è qualcosa che va al di là delle eterne contingenze di Mediobanca o delle traversìe finali della famiglia Ligresti. E se si rammenta che il vero decollo di Via Filodrammatici come banca d’affari del paese avvenne con la nazionalizzazione dell’energia elettrica nell’Enel e la fusione fra Montecatini ed Edison, mezzo secolo fa, la riflessione si interconnette ancora di più con il presente: il governo Monti ha messo forzatamente in agenda un nuovo round, già molte le voci di privatizzazioni, ma sono già molte le voci (tra cui quella del Sussidiario) che avvertono sulla necessità di non privilegiare l’obiettivo dell’incasso a breve rispetto a quello di orientare la ristrutturazione dell’industria italiana.



“Non possiamo ridurci al paese delle tre ‘f’: food, fashion and football”, ha incalzato al Meeting di Rimini l’amministratore delegato dell’Enel Fulvio Conti. Lui non era al timone quando il gigante elettrico fu collocato sul mercato: era direttore finanziario e – cooperando con Mediobanca in funzione di advisor – fece il suo lavoro e massimizzò l’incasso per il Tesoro, anche se a spese di due milioni di piccoli risparmiatori cui le azioni furono vendute ad alto prezzo. Ma lo stesso Conti –  che è vicepresidente di Confindustria – continua a essere sotto pressione dai colleghi imprenditori: l’Enel (pur rifocalizzata sul suo business dopo le deviazioni nelle tlc) continua a non soddisfare gli utenti di un’industria molto energivora: esattamente come l’Eni. L’Enel si è internazionalizzata con l’acquisizione delle attività europee Endesa, ma si è anche indebitata. La rete Terna (esattamente come ora il Governo vuol fare con Eni-Snam) è stata separata dalla casa-madre, ma vi resta importante il ruolo della Cassa depositi e prestiti: l’anti-Mediobanca pubblica irrobustita nel capitale dalla Fondazioni e alimentata dal risparmio postale.



A proposito: il Bancoposta (scorporato dalle Poste) si annuncia forse come il dossier più importante della nuova campagna-privatizzazioni. È il grande fratello non bancario del settore dei servizi finanziari alle famiglie, ai lavoratori autonomi, alle imprese minori: è il gestore di milioni di conti correnti che − a parità di efficienza − può veramente competere dall’interno con le banche sul fronte delicatissimo dei costi dei servizi (non Abn Amro su AntonVeneta o Bnp su Bnl come strillava nel 2005 il Financial Times contro la Banca d’Italia di Antonio Fazio). Come può essere “mobilizzato” il Bancoposta per “creare valore”? In Germania Postbank è stata collocata presso Deutsche Bank. In Francia i servizi bancari delle poste sono rimasti in orbita pubblica attraendo il polo delle banche popolari. La fantasia, fra politica e mercato, non guasta mai: anche Prodi, Ciampi e Draghi e Mediobanca − verosimilmente − si erano immaginati un film diverso su Telecom a fine anni 90. Ad esempio: che intervenisse la Fiat, non le holding familiari degli Agnelli con lo 0,6%. Che fosse il loro blasone imprenditoriale a riconvertire la Fiat assieme a Telecom (anticipando il declino industriale del Lingotto), che fosse il loro prestigio capitalistico a trovare partner e capitali internazionali: non Roberto Colaninno con i banchieri di Wall Street, con la vendita finale di Omnitel a Vodafone come corollario.

Questa volta il gioco delle fusioni e acquisizioni “2.0” si annuncia meno scintillante di quindici o vent’anni fa: ma non meno interessante e più importante (di banche e media avremo certamente occasione di ragionare in profondità molto a breve: ce lo imporrà la cronaca).