Umberto Ambrosoli, fra le sue priorità di candidato Pd a governatore della Lombardia, pone la (ri)costruzione di “una banca regionale di sviluppo”. Sarebbe facile – superficiale, demagogico, politicamente angusto – accostarlo a Piero Fassino, che (intercettato dai Pm milanesi) gioisce perché i Ds “hanno finalmente una banca”: la Bnl, nell’estate 2005, apocalittica ed effimera, apparentemente lontanissima. Però sarebbe sbagliato anche ignorare il singolare ricorso nelle pulsioni “strutturali” del sinistra-centro di cui Ambrosoli è alfiere locale come Pierluigi Bersani lo è al voto politico. Non fosse altro perché, finora, a essere bollato come capo del “governo dei banchieri” è stato Mario Monti, leader neo-centrista in partenariato lombardo con Gabriele Albertini, terzo incomodo fra Ambrosoli e Roberto Maroni.

Sarebbe poco generoso anche ricordare ad Ambrosoli la disastrosa parabola dell’ultimo – non lontano – tentativo di dar vita a una “banca del Nord”: il Credieuronord patrocinato dalla Lega. Più interessante, in realtà, è risalire all’archetipo della “banca di Ambrosoli” e rovistarvi un po’ attorno. Anzitutto il paradigma è tutt’altro che etereo, ma talmente vicino e concreto da poter essere indicato per nome: Mediocredito lombardo. L’“alfa” del MedioLombardo – nel 1953 – fu scritta dal banchiere democristiano per antonomasia: Giordano Dell’Amore, inarrivato personaggio-sintesi di “lombardità” economico-finanziaria, alla fine superiore a quella cosmopolita ma in fondo “immigrata” di un Mattioli o di un Cuccia.

Dell’Amore fu a un tempo rettore della Bocconi (come lo è stato Monti) e padre-padrone della Cariplo (molto più di quanto lo sia oggi Giovanni Bazoli di Intesa Sanpaolo). Mediobanca e le Bin finanziavano il “capitalismo senza capitali” di un Paese trasmigrato senza soluzione di continuità da due guerre mondiali al boom; dall’autarchia fascista all’economia mista del lungo dopoguerra. Ma all’Azienda-Lombardia – dal 1822 – il credito veniva dalla Cariplo, la più grande Cassa di risparmio d’Europa: si trattasse di sostenere i setaioli lariani o, più tardi, i brianzoli produttori di mobili o macchine utensili. Per tutti questi, sette anni dopo la nascita (sostanzialmente romana) di Mediobanca, Dell’Amore aveva inventato a Milano il “suo” Mediocredito, mentre Guido Carli costruiva il Mediocredito centrale per sostenere l’export e i primi investimenti oltrefrontiera dell’Italia repubblicana.

Gran suggeritore dell’intero quindicennio centrista – in particolare di Amintore Fanfani e dell’economia sociale di mercato in versione italiana – Dell’Amore soffre nella memoria di un esito immeritato: l’arresto – a quasi ottant’anni, alla vigilia della scomparsa – per lo scandalo Italcasse. Il MedioLombardo, tuttavia, gli sopravvisse egregiamente per almeno due decenni. Tanto che Bazoli lanciò la sua dibattuta dottrina del “capitalismo temperato” e dell’“attività bancaria attenta agli interessi del Paese” in un’occasione precisa: la presentazione di una monumentale storia della “banca delle imprese lombarde”, personalmente curata dall’ex rettore della Cattolica, Sergio Zaninelli.

Quel giorno del 2007 (alla vigilia della grande crisi bancaria) non mancava Giuseppe Guzzetti, patron della Fondazione Cariplo e demiurgo dell’Intesa Sanpaolo appena nata, nonché già stratega della nuova Cassa depositi e prestiti appena ristrutturata fra Tesoro e Fondazioni. C’era anche Pietro Modiano, direttore generale di Intesa Sanpaolo alle spalle di Corrado Passera: annunciò che il Mediocredito lombardo mutava nome in “Mediocredito italiano” e avrebbe continuato la sua “mission” in tutte le regioni italiane, dove molti mediocrediti avevano concluso la loro.

Nel gruppo Intesa il “Mediocredito italiano” esiste tuttora, anche se le cronache ne parlano assai poco, a beneficio di Banca Imi, divenuto ben presto braccio nell’investment banking del polo presieduto da Bazoli. Ma l’identikit della “banca regionale” evocata da Ambrosoli è difficilmente rintracciabile nella struttura pilotata d Gaetano Miccichè, nota assai più per l’operazione Alitalia che per il credito adeguato alle piccole e medie imprese del Nord. Anche Modiano, del resto, da alcuni guida la Carlo Tassara, la finanziaria di Romain Zaleski, nota per le partecipazioni in Mittel, Intesa, Edison e per i rapporti sempre più critici con le grandi banche creditrici.

L’ex banchiere – impegnato in un difficile riassetto – assisterà da lì alla corsa parlamentare della moglie Barbara Pollastrini, ex ministro e recente vincitrice delle primarie del Pd nella provincia di Milano. Bazoli, invece, farà il tifo a Brescia per il nipote Alfredo, in lista per il Pd alla Camera. A Milano, invece, non è escluso che Ambrosoli (sostenuto da Il Corriere della Sera del bocconiano ultraliberista Francesco Giavazzi) si apparenti, dopo il voto, con Gabriele Albertini: sostenuto da Monti, figlio di un ex direttore generale della Cariplo con Dell’Amore presidente. A meno che Giulio Tremonti – candidato premier per la Lega, valtellinese, a suo modo discepolo del lombardissimo Ezio Vanoni – rivendichi a sé la primogenitura dell’idea che l’Italia ha nuovamente bisogno di banche (parapubbliche) di sviluppo, come quelle che lui ha messo in cantiere da super-ministro: Cdp e Banca del Sud.

(A proposito: gli spin-doctor di Ambrosoli ricordano che appena due anni fa una dettagliata proposta di legge sul “regionalismo” bancario porta la firma dell’allora capogruppo della Lega alla Camera, il varesino Marco Reguzzoni? Sì, l’attuazione dell’articolo 117 della Costituzione – il “titolo quinto” famigerato a sinistra – che prevede poteri regionali “sussidiari” per Casse di risparmio, Bcc e credito locale assortito).