Alessandro Profumo sogna un “grande socio finanziario” per il Montepaschi di Siena nei suoi secondi 540 anni, lasciandosi alle spalle il controllo di una Fondazione ormai “impresentabile”. Vuole stringere i tempi il presidente della Rocca sotto assedio, abolendo la clausola del 4% che impedisce la piena contendibilità del Monte e ne comprime ulteriormente il valore di Borsa. Due temi, quelli del limite di possesso votante e del rapporto fra top management di una banca e “grandi soci” che ricorre in tutto il cursus del banchiere.
Quasi vent’anni fa il quarantenne Profumo diventa Ceo del Credit appena privatizzato dall’Iri. Nel nuovo statuto di Piazza Cordusio, Ciampi, Draghi e Prodi hanno fissato il tetto del 3% per farne un vera “public company”, ma ciò non impedisce a “grandi soci” vicini a Mediobanca di conquistarne agevolmente il controllo: e Profumo viene messo in sella dalla Ras, esattamente uno dei membri di quel nocciolo duro formato anche da gruppo Pesenti, Commercial Union, SocGen e Luxottica.
Il tetto viene messo in discussione solo quando il Credit diventa UniCredit e si ritrovò nel nucleo stabile le gigantesche Fondazioni di Verona, Torino e Treviso: i primi veri “grandi soci finanziari” con cui il manager anglosassone Profumo deve fare i conti. Mentre il tetto viene alzato al 5% per dare più peso agli enti, è il vecchio presidente Rondelli a fare le spese dell’aggiustamento post-fusione: Profumo, dopo qualche scaramuccia, mantiene per un decennio rapporti eccellenti soprattutto con la Crt di Fabrizio Palenzona, mentre tutte le Fondazioni via via affiancatesi (come quelle di Modena e Bologna) convergono alla fine sempre su un manager che garantisce grosse “creazioni di valore” (cedole e rivalutazioni azionarie). Gli concedono carta bianca anche quando accelera verso una fusione internazionale, con Hvb, e perfino quando ingloba Capitalia.
Le relazioni si raffreddano – inevitabilmente – quando la crisi globale del 2008 colpisce UniCredit alla linea di galleggiamento: il titolo crolla, utili e dividendi si inaridiscono, il capitale ha bisogno di ripetute iniezioni di capitale. È da allora che si affacciano nuovi “grandi soci finanziari”, anche se forse non tutti “da sogno”: a cominciare dalla Banca centrale libica, quasi alla vigilia della caduta di Gheddafi (ma neppure Profumo lo aspettava). Oppure il fondo sovrano al Aabar di Abu Dhabi, il quale ha delegato in consiglio UniCredit il lobbysta internazionale Luca di Montezemolo: lo stesso che ha prestato il suo volto alle ferrovie statali francesi per entrare nel nuovo duopolio dell’Alta velocità italiana.
Attratto da un titolo bancario low-cost e “contendibile” è spuntato anche il fondo Pamplona: passaporto inglese, capitali russi (o meglio “apolidi”). E le Fondazioni italiane? Spossate dagli aumenti di capitale e dalla bassa redditività delle partecipazioni, arrancano anche in UniCredit: perfino la Crt di Palenzona ha dovuto tagliare la sua quota al 2,5%, meno della metà del fondo sovrano del Golfo.
Nel frattempo Profumo è stato rimosso ed è finito sotto processo a Milano per presunti illeciti fiscali in operazioni di finanza strutturata a UniCredit. Ora, rientrato in gioco come presidente a Montepaschi, “sogna”: all’inferno le Fondazioni, il loro gigantismo bancario e la loro avidità di profitti da parte dei loro banchieri; spazio ai “grandi soci finanziari”.