UniCredit, il più grande gruppo bancario italiano, ha cambiato il suo capo-azienda già un anno dopo lo scoppio della Grande crisi. Alessandro Profumo – il banchiere europeo forse più ortodosso nel sostenere il modello di “banca di mercato nel mercato”, decisamente orientato al rischio-rendimento – lascia nel 2009 dopo quindici anni di fusioni pionieristiche (la prima transeuropea fra Italia e Germania) e di grandi traguardi sia nei risultati di bilancio che nei track di Borsa. Ma il collasso dei mercati non può non colpire subito – in Italia – la banca più globalizzata in tutta la sua struttura, compresa l’esposizione del business ai mercati della finanza strutturata. L’addio di Profumo è dunque qualcosa di più che una semplice rottura fra un top manager – “usurato” quasi per ragioni oggettive – e i suoi azionisti, la “sua” banca.

UniCredit è colpito frontalmente dallo tsunami del 2008 e non a caso deve ricapitalizzare più volte: l’ultima dopo una severa prescrizione da parte dell’Eba, la neonata authority bancaria Ue. Altrettanto non per caso la successione di Profumo viene affidata a Federico Ghizzoni, uno dei macchinisti meno appariscenti nello stato maggiore costruito negli anni dall’“amministratore delegato unico” di Piazza Cordusio. Non è certo una coincidenza nemmeno che proprio a Profumo il sistema-Paese affidi un anno fa il turnaround bancario più complesso, quello del Montepaschi. Ma non sorprende neppure che la navigazione di UniCredit, alla fine del 2013, rimanga problematica: la recessione toglie ogni respiro alla rete italiana; il bilancio non è ancora alleggerito da tutte le zavorre accumulate con la crisi (sulla finanza di mercato e in Germania); alcune partite straordinarie (gruppo Ligresti) denotano un coinvolgimento ancora forte nella trama “novecentesca” di una finanza nazionale “Mediobancocentrica”.

Intesa Sanpaolo ha cambiato il capo-azienda per la seconda volta in due anni, durante il dopo-crisi: ma seguendo un “pattern” diverso. L’amministratore delegato Corrado Passera – realizzatore della strategia di “banca di sistema” concepita dal presidente Giovanni Bazoli – ha lasciato la guida di Intesa perché chiamato da Mario Monti: governo per definizione “di sistema”. In quei giorni dell’autunno 2011 l’Eba promosse la solidità del bilancio Intesa: ricapitalizzata una sola volta mesi prima, in modo consistente e sul mercato, su iniziativa del management e delle Fondazioni azioniste. La banca era certamente sotto pressione come tutte le consorelle italiane per il forte peggioramento dello spread italiano e per l’accentuazione della recessione da austerity: ma il verdetto dell’Eba sanciva una capacità di resistenza relativamente buona nel biennio 2009-10. Anche la scelta di Enrico Tommaso Cucchiani sembrava sottolineare un differente percorso: un top manager di caratura internzionale, versato più nelle strategie che nella gestione, non proveniente dal settore bancario ma dalla contigua industria assicurativa, con il pedigree di Allianz.

Intesa sembrava voler chiudere la decennale esperienza di Passera, creando le condizioni di una nuova fase di crescita, guardando a un prevedibile riassetto post-crisi del sistema bancario europeo. Due anni dopo, invece, il capo-azienda della Ca’ de’ Sass cambia ancora, L’addio di Cucchiani non è drammatico come quello di Profumo, ma è oggettivamente traumatico. I rumori di fondo non sono deboli e sono tutt’altro che vaghi: e il primo riguarda il controversa questione del gruppo Zaleski, azionista fra l’altro di Intesa su finanziamenti in sofferenza da parte della stessa Intesa.

Un secondo altrettanto tema di momento e altrettanto spinoso riguarda lo sganciamento di Intesa da Telco (Telecom) in cordata con Mediobanca e Generali. Un terzo è certamente il ruolo di Intesa (azionista-pilota e finanziatrice) nel turnaround Rcs. Ma non da ultimo – ed è la ragione ufficiosa della rottura fra Fondazioni e presidenza da un lato e Ceo dall’altro – un capo azienda sicuramente “world class” non è mai entrato in sintonia con una prima linea manageriale molto aderente alla struttura di un gruppo chiaramente orientato al “commercial & retail banking” nazionale. Per questo alla guida operativa di Intesa arriva oggi Carlo Messina: con meno anzianità anagrafica e aziendale di Ghizzoni a UniCredit, ma con un profilo analogo.

La banca “di mercato” è andata in crisi quando è crollato il mercato. La “banca di sistema” è andata in crisi quando il sistema-Italia si è accartocciato. Ma né UniCredit, né Intesa Sanpaolo sono sull’orlo del baratro. È l’unico dato certo, ma non è affatto banale. La transizione – lunga e incrociata – continua.