«Le banche italiane risentono di una crisi finanziaria e macroeconomica di cui non sono responsabili. Soffrono però anche di ritardi e negligenze nell’adeguare operatività, efficienza, qualità dei servizi offerti e assetti organizzativi all’evoluzione dei mercati. Devono continuare a fare la loro parte con una coraggiosa azione di rinnovamento». Di fronte a questo passaggio del Governatore Ignazio Visco – massimamente conciso ma del tutto esaustivo ed efficace, ieri alla Giornata del risparmio – l’autore è quasi lieto di infliggere a se stesso la periodica puntura di spillo. Troppe volte abbiamo punzecchiato il numero uno della Banca d’Italia, che peraltro non aveva mai affermato con tale chiarezza onesta che il sistema bancario nazionale è vittima, non colpevole, della crisi finanziaria globale e della recessione italiana. E se questa premessa è finalmente valida, allora sì che è possibile seguire Visco quando rinnova e precisa le raccomandazioni della Vigilanza: tanto più che danno sostanza operativa a un’indicazione strategica lanciata direttamente dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Il quale, dal canto suo, ha avuto il merito – tutto politico-culturale – di rovesciare la prospettiva dell’emergenza-credito.
«Dare più finanziamenti alle piccole e medie imprese» – nell’appello del Quirinale – sbriciola e supera e lo sterile “blame game” di un’Azienda-Paese in cui tutti sono in crisi e tutti lottano per uscirne. Il “credit crunch” – quando e come si verifica – non è colpa di nessuno, è invece responsabilità di tutti combatterlo: è questo l’appello del Quirinale, il quale – lanciandolo – fa la sua parte usando la sua autorevolezza. Anche Visco – ospite ieri assieme al ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni del presidente dell’Acri, Giuseppe Guzzetti – ha svolto bene i suoi “compiti a casa”.
Ha ribadito che ci sono banchieri (presidenti, consiglieri, amministratori delegati, direttori generali) che devono guadagnare meno: individualmente e come “monte” (i più di mille incarichi più volte denunciati da Via Nazionale). Ma stavolta ha avvertito con forza anche i bancari: anche il loro numero e il loro costo non è più compatibile con i conti economici di banche che si devono ristrutturare non solo per fronteggiare meglio i rischi di mercato, ma – per l’appunto – per offrire servizi finanziari migliori a prezzi più bassi a famiglie e imprese. La disdetta del contratto nazionale di lavoro – passo formalmente ruvido deciso nelle scorse settimane dall’Abi – è in questo senso l’apertura di un tavolo più “riassetto di sistema” che “di ri-contrattazione sindacale”.
Di più, Visco si è detto fiducioso sulla solidità delle banche italiane anche in vista degli stress test d’ingresso nell’Unione bancaria e ha allontanato come «non urgente» la prospettiva di ricapitalizzazioni necessarie: una valutazione non da poco sia in direzione dei nuovi “vigilantes” della Bce (del cui consiglio Visco fa parte), sia in direzione delle Borse. Però con altrettanta nettezza ha indirizzato la sua “moral suasion” direttamente sulla “struttura” del sistema, sollecitando «aggregazioni mirate»: è questa la vera notizia uscita dall’89esima Giornata del Risparmio, assieme a quella di una mini-riforma in arrivo per le Fondazioni.
Un tema collegato, essendo le Fondazioni azioniste-chiave sia delle grandi banche potenzialmente aggreganti (come UniCredit o Intesa Sanpaolo), sia – soprattutto – di Montepaschi, Carige, Cassa Marche: i tre casi di quasi-dissesto che hanno agitato le cronache finanziarie non meno dei sonni della Vigilanza (Guzzetti ha ammesso: a Siena i legami politica-Fondazione-banca hanno dato esiti pessimi; e ha accolto per primo l’ipotesi di un aggiornamento della legge Ciampi).
Ma quali sono le altre banche italiane candidate a una nuovo giro di risiko? Sulla carta tutte le popolari, che riempiono del resto la graduatoria alle spalle dei “campioni”: Ubi, Banco Popolare, Milano, Sondrio, Valtellinese, Vicenza, Veneto Banca, Etruria. Sono in gran parte quotate e – per dimensione – possono originare combinazioni “fra pari e uguali”, capaci di generare significative sinergie economiche e sostanziali rafforzamenti dei parametri patrimoniali.
E senza dimenticare la spinta delle vigilanza a superare gli aspetti più obsoleti della governance cooperativa, salvo cercare proprio nella fusioni “di categoria” le formule di cambiamento meno drastiche e quindi più potabili per soci, dipendenti, comunità locali. Da lunedì tutti – anche in Borsa – saranno comunque al lavoro su questo.