L’assemblea Telecom, al di là degli esiti, non ha quasi modificato le posizioni in campo. Non ha smosso alcun problema sul tavolo. Non ha sciolto nessun equivoco fra i molti che da tre mesi avvolgono la partita.
Telecom resta una grande azienda senza un azionista-leader con la capacità e, prima ancora, la volontà strategica di affrontarne le criticità: l’alto debito accumulato (fin dall’Opa del ‘99, per “auto-comprare” il gruppo prosciugandone le risorse) e il declino industriale come player internazionale – e forse anche nazionale – nel settore delle tlc.
Telefonica ha accettato tre mesi fa di entrare nella parte di azionista strategico, rilevando il controllo dai tre soci finanziari italiani della hoding Telco (Mediobanca, Generali, Intesa Sanpaolo), ma senza entusiasmo: costretta in parte dal disimpegno italiano (vedi di seguito), in parte dalla necessità di tutelare i propri interessi aziendali e di sistema-Spagna (primi fra tutti gli investimenti in America Latina). Certo, a Telefonica, il quasi-ex campione nazionale italiano nelle tlc, di per sé, non interessa.
Il gruppo iberico, a leggere i giornali, ha molti avversari, è dipinto come un indesiderato “barbaro alle porte”. Ma ha – per ora – un tacito alleato nel governo, almeno in quello in carica: se anche Telefonica mollasse la presa, la patata bollente sarebbe dell’Azienda-Italia, non di Madrid. L’azienda e i suoi quasi-ex soci italiani si ritroverebbero in mezzo al guano e Telecom – come ha dimostrato l’incursione di Blackrock – sarebbe scalabile a pochissimo prezzo dall’oggi al domani. Con grande disappunto di molti.
Come ha confermato il premier Enrico Letta – in una delle poche affermazioni “autentiche” della partita – l’interesse primo cui è attento il governo italiano è il futuro della rete, per due motivi. Il primo ha a che fare con un vero interesse-Paese: l’eliminazione del “digital divide” e la messa a disposizione di ciascun cittadino italiano di un accesso digitale allo “stato dell’arte”. Una seconda motivazione è più diplomatica e “geopolitica”, forse meno incontrovertibile, ma non meno rilevante: la rete Telecom è parte di un network di sicurezza steso attorno alla Ue e alla Nato, a cavallo fra Europa e Usa. Il suo controllo – per una ragione e per l’altra – non può essere lasciato alle forze del mercato. Per questo è sempre più probabile che la rete venga scorporata presso la Cassa depositi e prestiti, anzi presso il suo fondo infrastrutturale F2i, pilotato dall’ex top manager Telecom-Tim Vito Gamberale. Significativo, fra l’altro, il rilancio da parte di un personaggio apparentemente fuori partita: Corrado Passera, ex ministro dello Sviluppo ed ex Ceo di Intesa Sanpaolo; si dice leader di una nuova forza politica centrista “in nuce”, nei fatti candidato alla guida del progetto “Nuova Telecom”.
– Lo scorporo della rete a F2i è il vero passaggio critico: è le chiusura dei conti dell’esemplarità negativa della privatizzazione di Telecom, ormai un quindicennio fa, in tutti i suoi passaggi (mini-nocciolo Agnelli, Opa della “razza padana”, “era Tronchetti” e transizione lunga e grigia da parte di Franco Bernabé). Il prezzo dello scorporo della rete misurerebbe l’ennesima “pubblicizzazione delle perdite” dopo l’ennesima “privatizzazione dei profitti” (significativo, in questi stessi giorni, il nuovo “tira e molla” fra Governo, Comune di Roma e gruppo Caltagirone e sulla privatizzazione della municipalizzata Acea a Roma).
– Telefonica considera la rete Telecom come “carta in mano” da giocare per avere via libera in Sud America: la vendita di Tim Brasil (le offerte pronte sono fra le tante “carte coperte” della partita) da un lato porterebbe cassa utile a ridurre il debito Telecom, dall’altro scioglierebbe i nodi antitrust subito fatti emergere in Brasile. Ma quanta “cassa” sono disposti a mettere Stato e Cdp (assieme alle Fondazioni) per “liberare” Telecom dalla rete? Quanto interessa al “vecchio” Gamberale e alla “nuova” Iri (la Cdp) entrare in possesso di un asset strategico, anche se costoso da rimettere a lucido? Quali sono i “vincoli geopolitici” (diplomatici e militari) cui l’Italia è soggetta sulla rete Telecom? (A proposito: quanto può pesare il fatto che Matteo Renzi, nuovo leader del Pd, sia accreditato di legami forti con l’Amministrazione Usa? Quanto pesa l’ipotesi che la Telecom “new media company” già immaginata da Marco Tronchetti Provera come partner di Rcs possa finalmente diventarlo oggi, ma per Mediaset?).
– Non sorprende che Gamberale sia stato segnaleticamente candidato proprio da Marco Fossati, apparente capofila degli oppositori a Telco e all’operazione Telefonica. È ovvio che una Telecom “senza (più) rete” ma con più liquidità e meno debiti sarebbe molto meno zavorrata in Borsa. Naturale che chi – come l’ex patron della Star – ha perso in borsa più di due terzi del suo investimento nel 5% in Telecom sia il portavoce di tutti gli investitori grandi e piccoli che vorrebbero concludere la loro avventura in Telecom con minori danni possibili.
– Non sorprende neppure che, ancora all’assemblea dell’altro giorno, Fossati e Bernabé abbiano marciato apparentemente uniti. Ma è evidente che le due direzioni di marcia sono – al più – sovrapposte. A Fossati interesserebbe davvero che Telefonica – dopo aver rilevato il controllo di Telco – comprasse l’intera Telecom con un’Opa. Invece Franco Bernabé è preoccupato che Telefonica non acquisisca mai il controllo di Telecom: lo ha confermato – la mattina dell’assemblea – la notizia di un’indagine (senza indagati) aperta dalla Procura di Roma sull’accordo Telefonica-soci italiani, verosimilmente su deposizione-esposto dello stesso ex presidente di Telecom.
– Anche il senatore Massimo Mucchetti continua a giocare a carte coperte: preme per un cambio in corsa “ad aziendam” della legge sull’Opa (oggettivamente imbarazzante per il Pd), ma non per costringere Telefonica all’offerta al 100%, quanto per cacciarla da Telecom. Che è poi quello che chiede a Mucchetti – via “cinghia di trasmissione” – la Cgil di Susanna Camusso: nessuno tocchi la “casta” dei dipendenti Telecom, nessuno smuova le ceneri dell’Opa “D’Alema” del 1999. E al diavolo la banda larga “low cost” per i giovani italiani che un posto fisso non ce l’hanno e non l’avranno mai.