A Diego Della Valle (lo spillo è per lui) non è parso vero di punzecchiare Giovanni Bazoli subito all’indomani della sua designazione a presidente di Intesa Sanpaolo per un nuovo triennio. Può darsi che Mr. Tod’s abbia qualche motivo riguardo Rcs, di cui il Professore si è sempre ritenuto “cardinale protettore” fin da quando cedete il Corriere semifallito agli Agnelli e Mediobanca. Ma la missione di Bazoli, in quei primi anni ‘80, non era quella di rilanciare via Solferino: e comunque – come ha ricordato il Cdr del Corriere – gli episodi-chiave della crisi Rcs sono assai più addebitabili nel tempo a Luca di Montezemolo, sodale di Della Valle, che al mentore bresciano dell’attuale direttore Ferruccio de Bortoli.

Nel 1982 il banchiere cattolico doveva ricostruire da zero il più importante istituto della “finanza bianca”, l’Ambrosiano, crollato in un polverone velenoso. Più di trent’anni dopo, nessuno può negare all’ottantenne Bazoli il merito di essere riuscito in quella missione. È stato abile soprattutto a pensarsi sempre all’interno di un “sistema”: esattamente ciò che gli rimproverano Della Valle e altri. Ma anche Della Valle – come altri – ha avuto più di un’occasione in campo bancario: e il nocciolo duro della Banca commerciale italiana privatizzata – in cui il patron della Tod’s entrò nel 1994 – lo era assai di più della presidenza del Nuovo banco ambrosiano dodici anni prima. Eppure già nel’99 dopo la Comit finì sotto l’Intesa di Bazoli: “cavaliere bianco” – nell’occasione – di un’ennesima guerra intestina alla galassia Mediobanca.

Certo, due anni prima la Cariplo era stata agganciata all’Ambroveneto (dall’attuale presidente della Fondazione, Giuseppe Guzzetti), scartando un’offerta della stessa Comit. Certo, anni prima l’Ambroveneto si era dovuto difendere due volte dagli attacchi di Mediobanca (ma il supporto a Bazoli era in ogni caso venuto dal Governatore laico della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi, da un colosso europeo come il Credit Agricole, perfino da un leader delle Generali come Alfonso Desiata). Certo, il 48enne Bazoli, quasi sconosciuto alla finanza nazionale, era nell’agenda di Nino Andreatta, un peso massimo della Dc di allora, ma della migliore.

E credere all’Azienda-Italia come “sistema” – nella visione di un presidente che può sembrare “eterno” – ha portato Intesa Sanpaolo a essere una banca ultra-resistente nei mari tempestosi della crisi globale, che hanno fatto vittime più illustri e apparentemente più strutturate della banca che oggi tiene assieme Ambroveneto, Cariplo, Sanpaolo, Imi, Cassa Padova, Bologna, Firenze, Banco Napoli e altro ancora. A proposito, Intesa Sanpaolo è oggi interamente controllata da grandi Fondazioni bancarie: esattamente il modello che è risultato fatale al Montpaschi, anche se a Siena la fondazione era una sola, maggioritaria in banca, con una governance sbilanciata verso la politica, per di più monocolore.

Non è detto che il Monte “diroccato” venga affidato – magari in parte – proprio al banchiere-ricostruttore, per la sua ultima missione: se n’era parlato già alcuni anni fa. L’esperienza non gli manca: e Della Valle forse dovrebbe dedicare un paio d’ore alla lettura di “Una storia italiana” che sta uscendo in questi giorni per Il Mulino. I primi 25 anni della Bazoli-story raccontati dall’economista della Cattolica Carlo Bellaviote Pellegrini: ma chissà cosa ci riserveranno quelli fra il trentunesimo e il trentaquattresimo.