Il nome del governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, galleggia su tanti pronostici dell’inedito post-voto. In qualche virgolettato – molto generico – rilasciato a Il Sole 24 Ore, l’interessato non sembra indisponibile a raccogliere il testimone “tecnico” da Mario Monti, nel frattempo divenuto politico e insediatosi in Parlamento con la sua sezione italiana del Ppe. Di più: Visco – governatore da poco più di un anno – parrebbe in linea con un cambio di linea politico-economico laboriosamente in maturazione fra Bruxelles, Berlino e Francoforte. Alla Bce, in particolare, il presidente Mario Draghi (predecessore di Visco in Bankitalia) segnala di voler rompere l’austerity fiscale e monetaria “in salsa tedesca” e avvicinare almeno un po’ l’Europa alle esperienze di stimolo alla ripresa via via tentate negli Usa e ora in Giappone.

Un allentamento del rigore è in effetti quanto chiesto da tutti in Italia (Confindustria e Cgil, Pdl e Pd, lo stesso Monti in campagna elettorale) e in Europa, Francia in testa. È d’altronde evidente che – prevedibilmente a cavallo delle elezioni tedesche di settembre – qualsiasi svolta nella politica economica dell’area euro non potrà mai essere “di rottura”, e che un Paese dallo spread tuttora sensibilissimo come l’Italia non può permettersi strappi. È anche un fatto che lo scenario post-elettorale è stato lungi dal restituire alla politica la credibilità per riaffermare il suo pieno primato fra fronte interno, altri paesi-membri dell’eurozona e mercati.

Il leader che si accreditava per la transizione – Pierluigi Bersani – è forse il vero sconfitto, contro i pronostici e a conferma delle diffidenze esterne. La resistenza attiva di Silvio Berlusconi, nei fatti, è inservibile al sistema-Paese, e in ogni caso Pdl e Lega – gli anti-europei più demagogici – escono ridimensionati nei numeri. È fuori discussione, ovviamente, chiedere a Beppe Grillo di rendere operativo il proprio esperimento politico in chiave di exit-strategy economico-finanziaria.

Per quanto poco “palatabile” per un elettorato che chiede con toni ultra-determinati “fasi nuove” (non solo sul terreno economico), un esecutivo di transizione appare quindi una prospettiva realistica: tanto più che l’agenda “di scopo” può essere condivisa perfino dal Movimento 5 Stelle e le scadenze temporali (il voto tedesco e il più che simbolico rinnovo dell’europarlamento nella primavera 2014) non sono così lontane (lo sono forse per alcuni leader politici, ma questo è un altro discorso).

Se comunque questa è la prospettiva politica nelle mani del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, la candidatura di Visco non sembra tuttavia così consequenziale. Tanto più che le forze politiche prevedibilmente chiamate a sostenere la fase sono le stesse che hanno sostenuto finora il governo Monti: il Pd, il Pdl (integrato, è vero, dalla Lega) e la stessa “Scelta civica” che ha ridato consistenza alle forze centriste.

È vero che l’economista della Bocconi non è più il “senatore a vita” chiamato a presiedere un esecutivo istituzionale in una fase di emergenza conclamata, ma è altrettanto vero che la credibilità esterna di Monti ha funzionato, mentre all’interno ha comunque avviato un’agenda di riforme economiche che rimane da ultimare: a meno di non prendere in considerazione un’uscita dall’euro che in fondo è stata posta come argomento esplicito dal solo Berlusconi, politicamente obsoleto. Monti, per di più, ha un profilo proprio in Europa e oltre: in sintonia con Draghi, ma certamente lontano da quella subalternità che oggettivamente caratterizzerebbe Visco.

Nessuno discute ovviamente le qualità personali e professionali del vicedirettore generale “junior” della Banca d’Italia, catapultato al ruolo di governatore dai veti contrapposti fra Draghi (che sosteneva il direttore generale Fabrizio Saccomanni) e l’allora super-ministro Giulio Tremonti (che in Via Nazionale voleva Vittorio Grilli). Tuttavia il curriculum di Visco – ex capo-economista dell’Ocse – non è certamente quello di Carlo Azeglio Ciampi o dello stesso Draghi.

Viceversa, appena qualche settimana fa, il nome della Banca d’Italia e del suo attuale primo inquilino sono stati pesantemente coinvolti sul piano mediatico-giudiziario dal caso Montepaschi. Visco, oggettivamente, ha poche responsabilità (ha una formazione di economista e la vigilanza bancaria ha fatto capo a lui solo dall’inizio del 2012), ma poco importa: soprattutto quando un nuovo capopopolo come Grillo ha costruito il suo inedito successo cavalcando molto la polemica anti-bancaria, anche prima dello tsunami del 2008. Pochi giorni prima di raccogliere un quarto dei voti degli italiani, Grillo si è scontrato con Alessandro Profumo intervenendo all’assemblea del Monte. Erano grilline le monetine lanciate contro l’ex presidente senese Giuseppe Mussari, vent’anni dopo quelle scagliate contro Bettino Craxi? Può essere il “banchiere dei banchieri” il nuovo premier “istituzionale”? Monti ha superato il suo “governo dei banchieri”: non è stato seguito nell’avventura politica neppure dal suo ministro Corrado Passera. Perché escludere a priori un rimpasto affidato a lui? Oppure Visco è una pre-candidatura posticcia per richiamare in Italia lo stesso Draghi?

All’Eurotower un ricambio anticipato del presidente italiano sarebbe forse meno clamoroso e choccante della rinuncia del Papa tedesco a Roma: la Germania accetterà la “fase nuova” in politica monetaria e vigilanza bancaria senza avere, finalmente, il controllo diretto delle agenzie centrali dell’euro? Si sbaglierebbe invece di grosso – almeno a modesto avviso del vostro notista del lunedì – chi pensasse a una “promozione” di Visco a Palazzo Chigi per dare finalmente ruolo pieno a Saccomanni, che è rimasto direttore generale a Palazzo Koch. Quest’ultimo – epigono della scuola ciampiana – è da alcune settimane presidente dell’Ivass, authority di assicurazioni e fondi pensione. L’esperto Saccomanni governatore sarebbe quindi il “vigilante unico” di banche e assicurazioni italiane nella delicatissima fase di transizione verso l’Unione bancaria, con lo scacchiere in movimento (Mediobanca, UniCredit, Generali, Intesa Sanpaolo, Popolari, ecc.). Ma ancora una volta la “guida salda” certamente apprezzata dall’establishment assumerebbe subito le sembianze del “nemico da abbattere” per il “grande fratello” grillino in Parlamento.