Sabato prossimo le assemblee di Ubi, Banco Popolare e Bper; una settimana più tardi la Sondrio, il Credito Valtellinese, la Vicenza (l’unica big non quotata) e, soprattutto, la Milano. Quasi ovunque le assise annuali delle grandi banche cooperative si profilano animate. Il mix di fattori di pressione – crisi bancaria e recessione economica da un lato, critiche al modello di governance dall’altro – continuano ad agitare un settore portante del sistema creditizio italiano. Conti in rosso, cedole prosciugate, azioni depresse in Borsa: e con lo spettro dell’Opa (tabù per i difensori del sistema cooperativo) che diventa via via più invitante e riaccende il dibattito sulla “riserva indiana” delle grandi Popolari, quotate ma non scalabili.
A Bergamo il bilancio in approvazione presenta un utile risicato e una mini-cedola confermata, ma il rinnovo del consiglio di sorveglianza e della presidenza si annuncia aperto. Candidato a succedere a Corrado Faissola (l’ex presidente dell’Abi scomparso a fine 2012) è Andrea Moltrasio, industriale bergamasco dal profilo classico (fra l’altro è consigliere di Rcs). Ma dovrà vedersela con una concorrenza altrettanto profilata: quella di Giorgio Jannone, presidente delle Cartiere Pigna ma anche europarlamentare del Pdl. Moltrasio incarna un rinnovamento nella continuità in un gruppo bancario finora dominato da “grandi vecchi” del banking italiano (oltre allo scomparso Faissola, il presidente del consiglio di gestione Ubi, Emilio Zanetti, e quello Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli). Jannone coagula invece inquietudini variegate: alcune locali – e in fondo non eterodosse nel sistema-Popolari – come lo scontro fra “contrade” di uno stesso campanile.
Lo ha ricordato lo stesso Victor Massiah, la cui gestione è sotto attacco da parte di Jannone: la presenza di tre liste (una terza è capeggiata dal bocconiano bergamasco Andrea Resti) è segno di vitalità della democrazia societaria delle Popolari (Salvatore Bragantini su Il Corriere della Sera ha citato polemicamente il presidente della piccola Popolare di Cividale, Pelizzo, in carica da 40 anni). Jannone, peraltro, segna “fratture” meno episodiche: è un industriale-politico “di continuità” con lo stile berlusconiano, ben più recente rispetto al tradizionale notabilato democristiano del Nord Italia, ma che sembra destinato a sopravvivere anche agli aggiustamenti politico-economici del centrodestra (“dopo Berlusconi” e in parte anche “dopo Formigoni”).
Politici di calibro – a cominciare dal sindaco leghista di Verona Flavio Tosi, assieme ai colleghi di Novara e Lodi – prendono da alcuni anni la parola all’assemblea del Banco Popolare, leader della categoria e quarto gruppo bancario italiano. Lo faranno anche sabato e sarebbe un errore sottovalutare quello che diranno alle assise 2013: sul crinale bollente fra istituzioni locali, piccole e medie imprese e banche che restano pur sempre “di territorio”, ma sono drammaticamente alla sbarra sul versante del “credit crunch”. Il Banco Popolare, fra l’altro, sarebbe stato il gruppo su cui la Vigilanza della Banca d’Italia avrebbe esercitato particolare severità nell’imporre una valutazione prudenziale dei crediti. E i vertici del gruppo sono stati i primi ad annunciare la rinuncia totale ai “bonus”.
Tutto bene: ma nella linea di difesa del sistema bancario – rilanciata ormai quotidianamente dall’Abi – assume un rilievo via via più importante l’“impar condicio” tendenziale nell’applicazione delle regole: fra passato e presente, fra banca e banca, fra Popolari e banche Spa, fra diversi paesi membri della Ue e dell’eurozona; fra Europa e America. È un tema sempre più cruciale allorché l’ultimo Ecofin e la Bce hanno fissato al luglio 2014 l’entrata in vigore operativa dell’Unione bancaria: una supervisione unificata ancora tutta da scrivere.
È assai probabile che Bergamo e Lodi diano il tono all’assemblea più attesa di sabato 27: quella della Milano. Che a sua volta sarà quasi certamente “storica” anche per le altre Popolari, in quanto l’ordine del giorno “sostanziale” è il progetto di trasformazione in Spa della Bpm, da parte del finanziere Andrea Bonomi, da un anno e mezzo azionista importante e presidente del consiglio di gestione. Una prospettiva annunciata, ma ora siamo alla resa dei conti: una Popolare affidata a un operatore professionale del private equity (Bonomi con i suoi partner detiene ora il 16% circa della Bpm) non può che puntare sull’abbandono del modello coop e sull’intervento in Borsa di altri investitori (ad esempio, un’altra banca). Nella trincea mohicana ci sono – per l’ultima battaglia – i dipendenti soci sindacalizzati.
Ma sarà davvero l’ultima battaglia? Alle spalle di Bonomi – nel tentativo di spezzare le reni a Piazza Meda – c’era la Banca d’Italia di Mario Draghi e Anna Maria Tarantola. Ma non ci sono più e quella stagione della Vigilanza è talmente nel mirino per il caso Mps che l’altro ieri un Pm e un pattuglione di finanzieri sono entrati in Via Nazionale. Anche se – ufficialmente – in un clima di “piena collaborazione”.