Appena un mese dopo il suo insediamento come “azionista unico” dello Ior, papa Francesco ha azzerato l’appannaggio dei cinque cardinali della commissione di sorveglianza della banca della Santa Sede vaticana. Lasciamo intenzionalmente perdere ogni retroscenismo vaticano – e quindi anche i nomi dei porporati – proprio quando i media sono tornati a pullulare di memoriali. Cerchiamo invece di cogliere i segni di contraddizione della modernissima “pastorale pauperistica” del Papa “dell’altro mondo”. La cifra, in sé, può sembrare irrilevante: 25mila euro all’anno per ciascun cardinale. Ma attenzione a considerarla solo “simbolica”, legata al riordino della Curia. Risparmiare 125mila euro all’anno può sembrare un atto “ridicolo” solo a quella percentuale minoritaria della popolazione mondiale che si è abituata a ragionare in termini di centinaia di milioni o miliardi di euro o di dollari al giorno. Dovrebbero essere invece questi uomini per primi a prestare orecchio all’“alert” lanciato dal Pontefice: e non in termini di richiamo etico, ma di sguardo razionale sulla realtà.



Sembra dire: non restate abbarbicati ai mercati diroccati della “moneta di carta”, il cui valore sostanziale si è rivelato inverso rispetto alle file di zeri di un’Opa o di un bonus. Fermatevi e ragionate su cos’è davvero un euro: come si produce, come si consuma, come si risparmia, come si investe. Un europeo o un americano che ha perso casa e lavoro non è meno “povero” di un abitante delle immense “periferie del mondo”. Per tutti l’exit strategy è anzitutto ritrovare razionalità: anche pochi euro, se sono “veri”, fanno la differenza: ovunque. Per il bilancio della Santa Sede (che è andato spesso in rosso negli ultimi anni per alcuni milioni di euro) risparmiare un centinaio di migliaia di euro all’anno è anzitutto un atto economico nel senso letterale: di “buona cura della casa”.



È assai probabile che il risparmio sui gettoni annui dei cardinali vada a sommarsi a un’altra cifra: “la mesata del camerlengo” – lo straordinario del periodo conclavario – che papa Francesco ha deciso di non corrispondere a tutto il personale della Santa Sede per destinarlo a “opere di bene”. Per la banca vaticana – nominalmente creata per favorire le “opere di religione” – il richiamo alla missione è ovviamente più forte e specifico: e come ormai ci ha abituato, il Papa parla per fatti, per esempi concreti, per assunzioni dirette di responsabilità. E sbaglierebbe chi – nella City e a Wall Street – sottovalutasse la forza dell’esempio di un Pontefice che ha iniziato a operare nella “governance” della sua banca un mese dopo l’elezione.



In autunno saranno trascorsi cinque anni dal crac Lehman Brothers: e i bonus milionari resistono anche in quelle banche che sono state salvate con i miliardi dei contribuenti. Migliaia di pagine di progetti di riforma più o meno globale della finanza, nel frattempo, non hanno ancora chiarito come la moneta, il credito, i mercati possono e devono ritrovare stabilità e funzionalità come motore dello sviluppo economico, evitando di ridiventarne l’esplosivo parassita. Perché la moneta e il credito mantengono un’irriducibile dimensione di “bene comune”, che il banchiere (cardinale o no) non può mai piegare a business ad alto rischio per fini di lucro. Altrimenti i risultati poi si vedono. Il Papa sta parlando anche, soprattutto, di questo.