La buona notizia è che al vertice del ministero dell’Economia va l’italiano forse più qualificato a farlo. Il Direttore generale della Banca d’Italia, Fabrizio Saccomanni, ha quarant’anni di carriera nella banca centrale e un’esperienza completa: politica economica, mercati finanziari e vigilanza bancaria, meccanismi di relazione istituzionale fra governi e authority su scala globale, soprattutto negli anni di gestione della crisi. È il migliore dei tecnici, con la capacità di muoversi di un politico: conosce tutto del sistema-Paese e parecchio del sistema-Europa.



Nel 1999 era l’alternativa a Tommaso Padoa-Schioppa come primo italiano nell’esecutivo Bce e oggi entra legittimamente anche lui nello studio di Quintino Sella in via XX settembre. È stato vicepresidente esecutivo della Bers, la banca europea concepita dai paesi dell’Europa occidentale per stimolare il rilancio economico di quelli dell’Est dopo la caduta del Muro. Era il governatore designato nel 2011, quando Mario Draghi fu promosso alla Bce: fu fermato dal braccio di ferro fra l’uscente Draghi e il ministro dell’Economia, altrettanto uscente, Giulio Tremonti. Quest’ultimo sosteneva il suo direttore generale, Vittorio Grilli, che lo stesso premier tecnico Mario Monti trattenne prima come viceministro del suo interim all’Economia, poi come ministro nel 2012. La designazione di Ignazio Visco al vertice di Via Nazionale nacque come compromesso dell’ultima ora: e Saccomanni fu convinto, nonostante la comprensibile delusione, a restare al suo posto. In tal modo, da pochi mesi, era diventato capo dell’Ivass, la nuova struttura di vigilanza delle assicurazioni accorpata con quella creditizia.



La notizia (teoricamente) meno buona sta qui. Alla Banca d’Italia viene tolto quello che – nei fatti – era diventato una sorta di co-governatore a fianco/alle spalle di un numero uno che ha mostrato più di quanto fosse lecito attendersi i limiti del vicedirettore generale “junior” catapultato sul ponte di comando. È vero che il “lider maximo” della politica monetaria in Europa è l’italiano Mario Draghi, firmatario dell’euro-diktat d’austerità al governo italiano quando ancora sedeva a Palazzo Koch. Ma la sostanziale “subalternità” in materia di politica economica che il governo Monti ha poi pagato (anche nel risultato elettorale di Scelta civica) forse avrebbe potuto essere meno evidente e più flessibile se Bankitalia fosse stata pilotata da un banchiere centrale più “senior” (in Italia, nei rapporti con la Bce e i vari Ecofin, G-20, ecc.).



D’altro canto Saccomanni lascia Via Nazionale in un momento critico per la vigilanza bancaria. Una delle coincidenze che incuriosiscono sempre questa noticina de Il Sussidiario ha voluto che nel giorno della nomina di Saccomanni, lo stesso Gip di Siena annullasse il roboante sequestro da 1,8 miliardi ai danni del gigante giapponese Nomura, ordinato qualche giorno fa dai Pm senesi nell’ambito dell’inchieste Mps. Ebbene, il tentativo di congelare una montagna di quattrini era stato effettuato dalla Guardia di Finanza proprio dalle workstation di Palazzo Koch: la “collaborazione amichevole” – subito dichiarata da tutti per smussare sospetti e inquietudini – aveva tuttavia prodotto subito un buco nell’acqua. Nomura – indagata per derivati anomali stipulati da Mps per gestire i suoi maxi-debiti – aveva però immediatamente confermato che l’operazione non era andata in porto.

Sabato un altro magistrato senese ha definitivamente certificato la velleitarietà formale, oltreché sostanziale dell’iniziativa: l’ennesima, comunque, che Bankitalia ha subito. Sempre l’altroieri la Vigilanza non ha più dato la minima copertura in assemblea Bpm ad Andrea Bonomi, chiamato nel 2011 per riformare una Popolare ritenuta ostaggio dei dipendenti-soci. Su queste colonne auspicavamo che Bankitalia si tenesse un passo indietro, ma quanto è accaduto è in ogni caso frutto dell’impasse in corso a palazzo Koch. Fra pochi giorni, tra l’altro, Saccomanni avrebbe dovuto supervisionare un aggiustamento epocale: all’assemblea Generali, Bankitalia avrebbe cessato di essere azionista rilevante (la quota del 4,4% è stata ceduta a un fondo della Cdp), assumendo invece il ruolo inedito di vigilante bancassicurativo diretto.

Chi sarà ora il nuovo Direttore generale, per statuto presidente dell’Ivass? In pole position sembra esserci Salvatore Rossi: il più anziano dei tre vicedirettori generali, ma soprattutto membro del collegio de “saggi” di Napolitano. Un consesso da cui sono stati pescati tre neo-ministri. Certamente non può aspirare alla poltrona Luigi Federico Signorini, appena promosso vicedirettore generale dalla responsabilità operativa della Vigilanza. Una scelta da cui era trasparito un certo affanno nell’alta direzione di Via Nazionale: con Visco impegnato a serrare i ranghi sotto il pressing dell’inchiesta Montepaschi.