Nelle prime pagine di “Una storia italiana – Dal Banco Ambrosiano a Intesa Sanpaolo”, Giovanni Bazoli emerge soprattutto come colui che – assieme a Carlo Azeglio Ciampi – resiste a tutte le pressioni per cedere subito Il Corriere della Sera dopo il crac Ambrosiano. Proprio i diari inediti dell’allora governatore della Banca d’Italia rivelano che nelle settimane precedenti lo showdown dell’agosto ‘82, in Italia tutti sembrano preoccupati soprattutto della Rizzoli: fallita e infiltrata dalla P2 non meno del Banco di Roberto Calvi che ne detiene il controllo e ne è grande creditore. Ma mentre per la ricapitalizzazione del gruppo bancario Ciampi e il super-ministro del Tesoro Nino Andreatta devono usare una “moral suasion” molto ruvida per inquadrare un pattuglione di banche pubbliche e private, per la disastrata “R verde” c’è la fila e tutti fanno a sportellate: gli Agnelli; Carlo De Benedetti (e per lui il grande notabile Bruno Visentini); il premier repubblicano Giovanni Spadolini, l’emergentissimo leader socialista Bettino Craxi (che per questo inserisce la Bnl di Nerio Nesi nell’operazione Nuovo Banco Ambrosiano); non ultima una Mediobanca al solito tatticissima, che però perde il primo round due volte, sul terreno bancario e su quello editoriale.



Enrico Cuccia frena i suoi dioscuri Francesco Cingano (Comit) e Lucio Rondelli (Credit), puntando fino all’ultimo su un crac esemplare e punitivo per l’Ambrosiano – roccaforte della finanza “bianca” – e su uno smembramento “vile” di tutte le spoglie (oltre al Corriere, il Banco stesso, la Cattolica del Veneto, il Credito varesino, la Toro). Il democristiano Andreatta, dal canto suo, tiene duro con gli appetiti del vario capitalismo laico del Nord con una fermezza non inferiore a quella poi tenuta con il Vaticano sulla gestione giudiziaria e liquidatoria dell’Ambrosiano.



È lui che inventa Bazoli, mentre Ciampi si rivela un “civil servant” indipendente all’esordio durissimo come capo della Vigilanza (Paolo Baffi aveva dovuto lasciare via Nazionale proprio per gli attacchi violenti della P2 legata a Michele Sindona). La Rizzoli viene quindi tenuta all’interno del Nuovo Banco, anche se a Bazoli viene subito dato il mandato di sciogliere il nodo della centrale e cedere Corriere, Toro e Varesino (la Cattolica sarà invece tenuta come puntello bancario del Nuovo Ambrosiano e piattaforma per il suo futuro sviluppo). È così che la Rizzoli finisce in amministrazione controllata e solo dopo due anni di risanamento viene ceduta a una cordata promossa da Mediobanca (all’epoca già entrata in buoni rapporti con Craxi via Salvatore Ligresti) e capeggiata dagli Agnelli.



Trent’anni dopo l’assetto portante di Rcs non è granché cambiato: restano il “patronage” di Bazoli e il pilastro-Mediobanca e c’è il desiderio della famiglia Agnelli di rafforzare ancora la propria presa sul Corriere. Via Solferino è – come allora – a rischio teorico di procedura concorsuale (ed è oggi presidente Angelo Provasoli, che ebbe un ruolo nel commissariamento Rizzoli degli anni ‘80). Il ruolo di banche e banchieri nel principale gruppo media del Paese è sempre al centro del dibattito.

Bazoli, tuttavia, a pochi giorni dall’assemblea cruciale per la ricapitalizzazione del Corriere, non ha mostrato esitazioni o imbarazzi a rivendicare il suo operato dall’82 in poi. Per di più la presentazione di una “saga” essenzialmente milanese è avvenuta a Torino, con la presenza del direttore de La Stampa Mario Calabresi, già preconizzato da molti per la poltrona di vertice del Corriere.

Il Professore bresciano affronta dunque a viso aperto un frangente nel quale potrebbe veder ribadito definitivamente a il suo “patronage” con il ruolo di presidente del patto Rcs. La “storia italiana” di via Solferino – certamente sul piano imprenditoriale – non è stata di successo come quella che dalle ceneri dell’Ambrosiano ha costruito uno dei “campioni nazionali” italiani. Ma Bazoli potrebbe eccepire che in Rcs non sempre ha avuto la possibilità di recitare da regista come via via dal Nuovo Banco a Intesa Sanpaolo: miscelando con rapidità ed efficacia Fondazioni, partner esteri, soci privati e compagnie assicurative nel patto; difendendosi da tutte le azioni ostili e attaccando sempre “amichevolmente”; guadagnandosi sempre l’appoggio di governi e authority del momento; avvicendando i top manager adatti alle varie aggregazioni.

Molto meno convincente appare invece, nel frattempo, la performance degli Agnelli come azionisti-pivot del Corriere. L’avventura Rcs Video promossa da Luca di Montezemolo; l’incerta stagione di Maurizio Romiti, figlio di Cesare; l’acquisto della Fabbri in crisi da Ifi; la stessa accelerazione finale sulla spagnola Recoletos (voluta dall’amministratore delegato montezemoliano Antonello Perricone) punteggiano il trentennio della “nuova Rizzoli”, precipitata nel drammatico bilancio 2012. Una parabola di cui anche Ciampi non può essere contento visti tutti gli sforzi iniziali: compresi tutti i mal di pancia fatti venire allora a tanti amici laici come Eugenio Scalfari.

Chissà come lui e Andreatta affronterebbero oggi l’intricato “dossier Corriere”: la ricomposizione della proprietà, il risanamento finanziario e il rilancio industriale. Chissà come lo (ri)affronterà Bazoli.