Giovedì 30 è il d-day per Rcs e Telecom: la prima deve sbloccare in assemblea la ricapitalizzazione, la seconda (in consiglio) lo scorporo della rete. Ambedue hanno davanti a sé un duplice impegno: raddrizzare la situazione finanziaria (Rcs è sull’orlo della procedura concorsuale; Telecom è stata declassata da S&P’s quasi a livello “junk”) e ritrovare una direzione strategica. Entrambe vedono oggi le stesse istituzioni finanziarie come snodo del loro azionariato di controllo: Mediobanca, Intesa Sanpaolo, Generali.
Sia Telecom che Rcs vengono da storie aziendali recenti nelle quali il capitalismo privato nazionale ha dato pessima prova di sé. Esemplare il ruolo della famiglia Agnelli, che oggi scalpita per assumere un ruolo egemone in Rcs, ma ha lasciato l’impronta su vent’anni di incidenti di percorso in Via Solferino. Nel frattempo il governo Prodi 1 aveva affidato a Torino anche Telecom appena privatizzata, ma – dopo avervi investito un famoso 0,6% robustamente puntellato da banche e Fondazioni – gli Agnelli non trovarono di meglio che farsi scalare da Roberto Colaninno. E a distanza di 14 anni la “madre di tutte le Opa” appare sempre di più il punto più basso della Seconda Repubblica, forse non solo sul piano finanziario: il governo D’Alema che si fa mentore di un’offerta ostile a leva, orchestrata dall’oligopolio di Wall Street, abile nel manovrare le mosche cocchiere della “razza padana” italiana, mentre la stessa Mediobanca (sotto scacco da parte di UniCredit e SanpaoloImi) appoggia un’operazione che spolpa una delle grande aziende nazionali e la priva di ogni futuro strategico.
Per gli annali, anche il Tesoro (di Mario Draghi) e la Banca d’Italia di Antonio Fazio consegnano le loro azioni. Ma è meglio sorvolare anche su quanto è accaduto dopo il subentro di Pirelli e dei Benetton e poi la nascita di Telco. Se non per un passaggio. Nell’autunno del 2006, Marco Tronchetti Provera prova a tagliare la spirale viziosa che avviluppa proprietà, bilancio e strategie di Telecom: colloquia con Rupert Murdoch e con Carlos Slim per partnership strategiche e aumenti di capitale; mette sul tavolo la vendita di Tim e lo scorporo della rete; comincia a far circolare la parola magica “media company”, che subito calamita Rcs nel gossip di Piazza Affari.
Non se ne fa niente, al governo Prodi-2 non tornano troppe cose: il nome del patron di Sky (politicamente ingombrante con Silvio Berlusconi reduce da un “quasi-pareggio” elettorale); la pubblicizzazione della rete per sostenere finanziariamente un mega-deal privato internazionale; la cessione all’estero di Tim dopo i non farne una pura operazione del suo network (negli stessi mesi il governo bloccò anche la fusione).
Oggi la situazione è molto cambiata. Il governo Letta potrebbe realizzare con lo scorporo della rete il suo primo atto di politica industriale: può far leva sulla Cdp e sui suoi fondi strategici, che prima della grande crisi non c’erano (così come l’intervento pubblico era divenuto un tabù). Ovviamente sta al governo rintuzzare le accuse (un po’ preventive e pregiudiziali) che servirono a Prodi come pretesto per il “no” del 2006. E il modo migliore – o il modo obbligato – per non “strapagare” la rete è non farne un’operazione meramente finanziaria, nella quale sì l’affare lo farebbe solo chi incasserebbe, indipendentemente dalla cifra valutata.
Fare politica industriale significa investire (anche capitali privati, ma sotto la regia pubblica) su un “new generation network” od offrirlo all’Azienda-Italia (dalle imprese a tutte le Pa, come scuola e sanità) come “boost” per la ripresa. E una nuova piattaforma digitale può rappresentare una reale start-up liberalizzatoria, che anzitutto potrebbe chiudere epoche obsolete: quella del duopolio televisivo (e magari dei conflitti d‘interesse attorno a Rai e Mediaset); quella dell’oligopolio della carta stampata; quella di un “incumbent” delle tlc troppo debole per poter incombere su alcunché.
Allora sì che gli azionisti di Telecom e Rcs (ma anche di Mediaset, Rai, ecc.) avrebbero l’occasione di ripensare quasi da zero i loro modelli di gruppo e di business che sono stati peraltro ridotti ai minimi dalla pressione della crisi finanziaria e al cambiamento della media-industry, quasi totalmente non affrontati da proprietà e management. Allora sì che Telecom-Rcs (e/o altri) sarebbe non solo possibile, ma probabilmente auspicabile, se non addirittura obbligato.
Se lo Stato ricomincia a fare lo Stato (per davvero), il mercato non può non rimettersi a fare il mercato, con gli stessi standard di attendibilità.