Certamente chi puntava su un clamoroso no di Giuseppe Rotelli all’aumento-salvataggio di Rcs è rimasto deluso: il primo azionista del Corriere ha votato a favore, senza neppure collocarsi nella zona grigia dell’astensione scelta dalle famiglie Benetton e Merloni. L’esito dell’assemblea-maratona è tuttavia lontano dall’happy end: non fosse altro per la lunga sospensione decisa dal presidente Angelo Provasoli prima della conta finale. Il tavolo della presidenza (caposaldo del nocciolo duro Fiat-Mediobanca-Intesa Sanpaolo) aveva incassato l’intervento critico – duro, ma previsto – da parte di Diego Della Valle: ma il fatto stesso che a pronunciarlo sia stato Sergio Erede (peso massimo fra gli avvocati d’affari milanesi, per di più attualmente membro del cda di Espresso-Repubblica) aveva ulteriormente accentuato un clima d’incertezza e di tensione. Cosa sarebbe accaduto se Della Valle, Benetton e Rotelli avessero di fatto costituito un “contro-patto del no”? Non è stato un caso che l’amministratore delegato Pietro Scott Jovane si fosse già visto obbligato a mostrare sul tavolo una pistola carica: il preannuncio di un “piano B” riscritto con l’urgenza di evitare una procedura concorsuale e quindi senza più riguardo ad alcun vincolo (come la volontà di non cedere “asset strategici”).
È accaduto qualcosa di rilevante durante i cento minuti di buio “assembleare”? Possibile che i pourparler fra Rotelli e le banche (per il sostegno alla quota parte della ricapitalizzazione) abbiano avuto bisogno di un’asseverazione finale: la semplice astensione di Rotelli, pur non compromettendo l’assemblea, avrebbe lasciato sostanzialmente nel guado Rcs, con prevedibili ripercussioni in Borsa e nelle relazioni interne al gruppo. Ora, invece, le apparenze sono salve: anzitutto Scott Jovane, ma anche il direttore Ferruccio De Bortoli, non sono stati sconfessati dai soci (il primo per il varo e l’aggiustamento di un piano di salvataggio; il secondo per l’estenuante mediazione con la redazione). Ma i verbali d’assemblea, al momento, restano carte bollate: in attesa, anzitutto, di vedere se Della Valle sceglierà la via dell’escalation, confermando i rumor di azioni legali anche sul terreno penale.
L’altro punto fermo – forse l’unico – è che il patto di sindacato Rcs non esiste più: e questo segna la fine di un’era che durava da quasi trent’anni, come ha ricordato giusto in questi giorni la storia del Nuovo Banco Ambrosiano fino a Intesa Sanpaolo voluta proprio da Bazoli.
La “nuova Rcs” avrà nuovi capitali a sua disposizione, ma la sua proprietà dovrà essere ricostruita: inevitabilmente con una maggior dipendenza dalle banche che in extremis hanno ristrutturato il debito Rcs a condizioni relativamente più favorevoli. La polarizzazione del controllo sull’asse Milano-Torino è un dato di fatto e di partenza, ma incognite e pressioni sfavorevoli non sono poche: a cominciare dall’oggettiva debolezza di Mediobanca. E la stessa violenza degli attacchi giunti negli ultimi giorni dal libro intervista di Luigi Bisignani conferma quanto meno la traumatica rottura di equilibri politico-finanziari che hanno garantito nel triangolo Milano-Torino-Roma la “stabilità evolutiva” del Corriere, sostanziata nella doppia alternanza alla direzione fra Paolo Mieli e De Bortoli.
Di segno opposto, invece, è stato il marcato interesse confermato ieri per la media-industry da parte di John Elkann, che ha parlato come presidente di Exor, la holding della famiglia Agnelli. «Sono molto interessato ai “media”, soprattutto da quando sono consigliere di Newscorp», ha detto l’erede dell’Avvocato. Ancora gli Agnelli: quelli che “non poterono non salvare” il Corriere nell’84; ancora Murdoch, il tycoon di Sky, l’eterno amico-competitor di Silvio Berlusconi e di Tarak Ben Ammar, un nome che non scompare mai dagli scenari attorno a Telecom. Quella Telecom che ieri si è finalmente risolta allo scorporo della rete verso la Cassa depositi e prestiti e che diventa un “oggetto misterioso”. E le vie di Rcs (a formare un “media group”) potrebbero essere incrociate in molti modi.
Lo stesso gigante delle tlc dovrà completamente rimodellare la sua fisionomia all’interno di un intrico di input. La nuova società-rete avrà probabilmente un azionariato più articolato rispetto al semplice binomio Telecom-Cdp. Le esigenze dei grandi azionisti finanziari italiani in Telco (Mediobanca, Generali, Intesa) non sono uniformi e diverse ancora sono quelle del partner estero Telefonica (che ieri infatti si è astenuto nel board sulla rete). A bordo campo, intanto, i cinesi di H3G insistono nella loro offerta di partnership. Telecom potrebbe, in ipotesi, ritrovare una struttura non compatta: con una capogruppo cui rimarrebbero agganciate le attività in Sud America (cui è interessata Telefonica); con una partecipazione in qualcosa che oggi definiamo “società rete”; con Tim che – com’era già previsto nel 2007 dal “piano Rovati” – oggetto di spin-off e di possibile vendita per tagliare una volta per tutte il nodo-debito. Wait and see. Ma qualcosa accadrà e non nel futuro profondo.