Gli osservatori delle cose Rcs, concentrati sull’aumento di capitale in partenza oggi, farebbero bene a non perdere d’occhio gli sviluppi di un altro riassetto editoriale in corso: quello dell’impero di Rupert Murdoch. Il 28 giugno l’operazione Rcs sarà ancora quasi agli inizi (terminerà il solo periodo di negoziazione dei diritti d’opzione sulla nuova emissione azionaria da 421 milioni). Quel giorno invece NewsCorp completerà lo “split” fra le attività media – che manterranno il marchio storico – e quelle legate a tv e showbiz, che assumeranno invece un logo nuovo ma ambiziosissimo: 21st Century Fox. Se d’altronde in via Solferino e dintorni il patto di sindacato, il cda, il top management, le banche, le stesse redazioni sono impegnati da mesi in summit estenuanti, al board NewsCorp sono bastati 20 minuti per dare definitivamente luce verde allo spin-off del Wall Street Journal e dell’intera editoria giornalistica e libraria. 

Sono intuibili le reazioni dell’unico “insider” di entrambe le vicende: il presidente della Fiat, John Elkann, membro del patto del Corriere, ma anche appena chiamato da Murdoch nel board della nuova Newscorp. È stato l’erede stesso dell’Avvocato, all’ultima assemblea Exor, a non far mistero di quale modello lo abbia attratto di più. “Il mondo dell’editoria è un mondo nel quale sono impegnato e che mi interessa. News Corp sarà uno dei luoghi in cui se i giornali avranno un futuro, come spero, si farà in modo di costruirlo. È sicuramente molto interessante per me avere la possibilità di essere nel Cda di una società che ha fatto quello che noi abbiamo l’ambizione di fare: partiti come editori locali in Australia sono man mano diventati uno dei più grandi gruppi mondiali dei media”.

“Partiti come editori locali”: Elkann – per parte sua – sta pensando certamente alla Stampa, ma “local”, “regional” è anche il Corriere della Sera. “Local” era anche il destino segnato per la principale controllata Exor, la Fiat. È stato Sergio Marchionne – come Ceo di Elkann – a chiudere il disastrato Lingotto “mediterraneo” e ricomporre l’ex “Fabbrica Italiana Automobili Torino” dentro un gruppo globale di nome Chrysler e con la testa negli Stati Uniti. Non è piaciuto a molti, ma probabilmente non c’era scelta. Anche il patron di Sky, dal canto suo, sta ripartendo con partner nuovi, soldi nuovi, strategie nuove. E sta ripartendo dall’Europa continentale (nei nuovi board sono stati chiamati anche la figlia di Patrick Arnault, Delphine, e l’ex premier spagnolo José Maria Aznar), perché lo “squalo” australiano continua ad avere molti nemici, un po’ ovunque: negli States, ma anche in Cina e negli tempi soprattutto a Londra.

Gli Agnelli sono un bel nome europeo gradito negli Usa: sono ormai una specie di fondo sovrano molto liquido (due miliardi in più dopo la vendita della quota Sgs); sono radicati nei media italiani (e padroni della Juventus sul fronte sport-tv) e potrebbero partecipare anche da soli a partite assai più impegnative del semplice salvataggio Rcs, partite che coinvolgerebbero una ristrutturazione “alla greca” per la Rai, il riassetto ancora tutto da scrivere per Telecom “senza rete”, perfino una sistemazione di Mediaset.

Quattordici anni fa, quando la razza padana, il Pd di D’Alema, la Mediobanca di Matteo Arpe e i corsari di Wall Street strapparono la Telecom a Gianni e Umberto Agnelli, avreste detto che l’allora ventenne Yaki avrebbe potuto giocarsi una seconda chance?

Ma le domande che stanno appassionando gli analisti di Piazza Affari (i pochissimi rimasti) sono altre. Ad esempio: il gruppo Pesenti – puntando ben dieci milioni di euro e dimezzando la sua quota al 3,5% – resterà o non decisivo in Rcs? Oppure: Diego Della Valle andrà davvero a piagnucolare al solito palazzaccio di Milano, magari nella speranza di farsi dare Rcs come nel 2005 i Pm diedero AntonVeneta ad Abn Amro e Guido Rossi la Bnl a Bnp Paribas?