Il piano “taglia debito” rilanciato ieri da Il Corriere della Sera – che ne ha attribuito la firma più recente al Pdl – non è una novità assoluta e dirompente: è quasi un anno, ad esempio, che Milano Finanza ne sostiene uno molto simile, sotto l’alto patronato dell’ex premier Lamberto Dini. Ma anche Vittorio Grilli, ministro del Tesoro nell’esecutivo Monti, meno di un anno fa aveva messo sul tavolo una road-map di privatizzazioni per abbattere in misura strutturale il numeratore di quel coefficiente debito/Pil che – soprattutto con un Pil cedente – condanna l’Italia a non potersi permettere alcuna “politica di bilancio”, neppure entro la flessibilità relativa concessa dall’Ue.
La ragioneria è del resto una scienza semplice: uno squilibrio nello stato patrimoniale (finanziario) può essere corretto o facendo leva in modo più efficace sul conto economico (con una migliore generazione di cassa positiva o una riduzione del “cash burning” negativo); oppure agendo direttamente sui due lati dello stesso stato patrimoniale: liquidando parte delle attività per ripagare le passività.
La “cura Monti” ha agito soltanto sul primo terreno: e l’austerity ha quasi esclusivamente privilegiato l’aumento del prelievo fiscale sul taglio delle spese. L’ultimo a rammentarlo in termini problematici è stato il Fmi, ma il taglio della spesa pubblica resta oggettivamente fuori discussione, così come la mitologica “lotta all’evasione” rimane sempre tale: certamente di fronte all’ultra-realismo del solito “breve periodo”.
Quindi: (ri)proviamo a vendere il patrimonio immobiliare dello Stato. Il solito: caotico; poco conosciuto perfino dal venditore; poco valutabile soprattutto in termini regolamentari (ieri il presidente Napolitano e il premier Letta erano alla Villa Reale di Monza, sorta di “club house” di uno dei più famosi circuiti di Formula 1 del mondo: si può vendere tutto a peso d’oro in 24 ore, ma il fondo sovrano di turno può trasformare la villa in un resort a sette stelle? Parco e pista possono diventare una Disneyland delle quattro ruote?).
La finanza immobiliare, nel frattempo, non sta esattamente attraversando il migliore dei suoi momenti, anzi. E a nessuno sfugge che il “piano taglia debito” della Repubblica italiana, nel suo schema di fondo, assomiglia a uno dei tanti ordigni che hanno fatto esplodere Wall Street e dintorni globali dal 2007 in poi: una maxi-cartolarizzazione; certo con alcune differenze rispetto ai veicoli-buco nero che hanno “riciclato” miliardi di dollari di mutui subprime in obbligazioni collateralizzate divenute in troppi casi spazzatura.
La differenza più rilevante è che – stavolta – una cassa previdenziale italiana non investirebbe in derivati di un pacco di sconosciuti mutui americani semplicemente timbrati dalla Lehman di turno. Il timbro sarebbe quello della Repubblica italiana e delle sue agenzie governative e – nello schema più virtuoso immaginabile – tra i sottoscrittori delle passività derivate vi sarebbero molti dei cittadini-contribuenti che sopportano tutti i pesi fiscali e di welfare di una finanza pubblica squilibrata. Il nocciolo dell’operazione – forse più politico che tecnico-economico – sarebbe infatti questo: mobilitare attraverso strumenti di mercato il risparmio privato delle famiglie italiane per un’operazione straordinaria che riequilibrerebbe oneri e rischi di finanza pubblica a carico di tutte le famiglie.
Non è la prima volta che segnaliamo l’anomalia oggettiva del “gioco dello spread” che ha tagliato le gambe all’Azienda-Italia nel 2011: la speculazione contro il debito sovrano tricolore è avvenuto anche con l’uso di risparmio italiano affidato a gestori esteri (lo “spread è stato quindi – in parte – lucrato da intermediari globali che hanno chiamato risparmiatori italiani a giocare contro se stessi in quanto contribuenti). E abbiamo sottolineato, a suo tempo, i paradossi vagamente tardo-mussoliniani dei “Btp day”: la chiamata del risparmio privato italiano a fare “matching” con il debito pubblico italiano, in aperta violazione delle tavole del liberismo globalista. Ma tant’è stato e tant’è, il “piano taglia debito” non fa che riproporre – politicamente – un tema più volte sollevato dall’allora ministro Tremonti: la “ricchezza di una nazione” incorpora anche le sue macro- grandezze private, non solo quelle pubbliche. Naturalmente a patto che il loro governo non sia totalmente affidato al mercato, ma sia – sotto determinate condizioni – orientabile da politiche pubbliche. Il “piano Corriere” – a differenza del “piano Dini”, che proponeva emissioni dirette di Btp speciali – pare voler affrontare questo nodo: chiamando in causa “banche, assicurazioni, Fondazioni”.
Anche in questo caso, tuttavia, il riferimento è a qualcosa che già esiste: è il Fondo Italiano Abitare, il maxi-veicolo da 2 miliardi promosso dalla Cassa depositi e prestiti (Tesoro-Fondazioni) cui hanno aderito UniCredit e Intesa Sanpaolo, Generali e Allianz, una decina di casse previdenziali professionali, oltreché ovviamente alcune Fondazioni. Prima fra tutte la Cariplo, che ha portato non solo capitali ma anche strutture manageriali mutuate dalle prime iniziative locali di housing sociale e dallo sviluppo del gestore Polaris Sgr. L’intelaiatura pubblico-privata è dunque già pronta: prevedibilmente estendibile nel parterre (a cominciare dall’intero sistema bancario e anche di operatori esteri ma in veste di partner, non di piloti).
Quasi scontato, d’altronde, che lo stesso sistema delle Fondazioni Acri vorrà garanzie sul mantenimento delle propria autonomia patrimoniale e sui ritorni dell’operazione, ma la “matrice Guzzetti”, sperimentata nella Cdp dopo che nei controlli delle grandi banche, appare già collaudata. È altrettanto chiaro che il disegno (risanamento italiano via risparmio italiano intermediato da governo, banche e fondazioni italiani) disturberà parecchio i commentatori liberisti e gli interessi globalisti che offrono loro pagine e festival. Ma la politica (soprattutto quella finanziaria) è sempre più simile all’idea che ne aveva il vecchio ministro socialista Rino Formica che a quella che ne hanno columnist di punta come Francesco Giavazzi e Luigi Zingales.