Otto anni fa il Governatore di Bankitalia, Antonio Fazio, e l’amministratore delegato della Popolare Italiana, Giampiero Fiorani, vennero giustiziati sommariamente – prima del giudizio – da un’inchiesta che li accusava di rapporti illeciti fra un vigilante e un vigilato. Oggi l’ex presidente di Mps, Giuseppe Mussari, e un drappello casuale di suoi ex impiegati (neppure pallidi parenti dei sanguigni “furbetti” del 2005) vengono frettolosamente sacrificati – sempre in via inquisitoria – al teorema della vigilanza ingannata sulle operazioni seguite al riacquisto di quella stessa AntonVeneta che Fazio spingeva verso la Lodi.



Otto anni fa all’Antitrust Ue c’era un commissario olandese – Neelie Kroes – a gettare scientificamente discredito istituzionale sul sistema bancario di un altro Paese-fondatore dell’Ue. Era pesantemente appoggiata dal Financial Times ed era in palese conflitto d’interesse politico: su AntonVeneta era in campo Abn Amro, che l’ebbe vinta grazie al supporto esterno della City di Londra e quello “oltre le linee” di magistrati e media italiani. Quella banca olandese, comunque, fallì subito, prima di Lehman Brothers. Fu dapprima fintamente salvata dal mercato (e la rivendita di AntonVeneta a Mps nel 2007 fu un sottoprodotto dell’Opa più grande ma anche più sostanzialmente fraudolenta mai realizzata in Europa). Poi il crollo degli ultimi ruderi di Abn costò ai contribuenti olandesi (e inglesi) miliardi di euro in un salvataggio di quelli in cui “lo Stato ci guadagna”, si affrettano a scrivere sui giornali italiani i soliti Giavazzi, Alesina, Zingales e Co. Ma dimenticano sempre di aggiungere che quegli Stati e quelle banche ci guadagnano perché il conto lo pagano alla fine altri: come l’Italia di Mps e dello spread a 575.



Oggi all’Antitrust di Bruxelles c’è uno spagnolo, Joaquin Almunia. Non ha avuto nessuno scrupolo a negare il via libera Ue al riassetto Mps: firmato fra l’altro (“Monti-bond”) da un suo predecessore alla Concorrenza Ue. Ma Rocca Salimbeni, evidentemente, va rasa al suolo: e poco importa se il pacco esplosivo a orologeria che l’ha già diroccata sia stato confezionato in Spagna, al Santander. Anzi: Emilio Botin, il despota familista del Santander, resta ancora “uomo di rispetto” – forse il maggiore – nell’establishment di un Paese devastato nel suo sistema bancario e totalmente screditato nella sua classe politica. Quando le cose vanno così in Italia la chiamano “mafia” (oggi: “gomorra”), quando accade in Spagna (o in Francia, Germania, Gran Bretagna. Usa) è “sistema-Paese che funziona”.



Accade così che – mentre è ripartito il tentativo di distruggere un sistema finanziario autonomo, storicamente radicato, come quello italiano – la stessa autorità creditizia nazionale collabora a minarne i bilanci e l’immagine conducendo un’assurda campagna di vigilanza interna tanto draconiana quanto autolesionista. Carlo Azeglio Ciampi – era il 1992, quel 1992… – ebbe il coraggio di difendere la lira fino all’ultimo, in una battaglia persa in partenza contro le stesse forze di oggi: i mercati e altri sistemi-Paese. Ma Ciampi era un tecnocrate che aveva il senso politico, storico del suo ruolo. E non era ricattabile: né moralmente, né per essere stato agevolato nel cursus professionale, né da qualche boomerang come il caso Mps. Non gli si poteva chiedere di giocare contro il suo Paese con strumenti solo apparentemente tecnocratici.

Oggi, come otto anni, fa queste cose si possono scrivere solo sotto pseudonimo. Tanto i problemi del Paese – naturalmente dopo il “credit crunch”, lo scandalo permanente delle Fondazioni e l’imprescindibile esigenza di riformare le Popolari – restano la sentenza Berlusconi e la legge sull’omofobia.