Come ha ben scritto Donato Masciandaro su Il Sole 24 Ore, la manovra “salva-credito” messa in cantiere del governo è una rondine che sfida con coraggio i cieli ancora invernali dell’economia italiana, ma che da sola non può portare la primavera: soprattutto nei canali ancora gelati del sistema finanziario. Il “credit crunch”, d’altronde, resta molto più un effetto che una concausa della recessione, benché vi contribuisca a spirale. Provare a curarlo “tout court” rimane terapia del sintomo. Anche all’interno del sistema bancario, i fondamentali problematici sono altri; e una fluidificazione del credito a famiglie e imprese può dare qualche sollievo, ma non è la soluzione alla “questione bancaria”.

Nel merito, l’iniziativa di garantire attraverso la Cassa depositi e prestiti fino a 5 miliardi di mutui appare tuttavia ragionevole e interessante. Punta a rimettere in moto una spirale “win win” fra imprese edilizie (tradizionale volano dell’intera economia), banche (che sui mutui immobiliari possono fatturare spread di qualche rilievo sui tassi ancora molto bassi) e famiglie – soprattutto giovani – che possono essere invogliate a guardare con rinnovata fiducia all’acquisto di una casa. E dare un po’ di gas ai mutui è il complemento logico al decreto che in giugno ha accelerato sui bonus fiscali relativi a ristrutturazioni edilizie ed energetiche.

La strumentazione immaginata – l’emissione di “covered bond” da parte della Cassa depositi e prestiti – prende finalmente atto che un sistema-Paese fragile e disastrato non è comunque privo di risorse proprie: una banca pubblica (forte dell’azionariato di Tesoro e Fondazioni) e un risparmio interno che può rispondere all’offerta di strumenti d’investimento con una combinazione rischio-rendimento predeterminata e accettabile. Un’opportunità che può attirare, in particolare, una previdenza complementare sempre in fase di faticoso decollo. È prevedibile che i commentatori liberisti rimarranno in un silenzio di circostanza: dove ci sono “piani”, agenzie pubbliche e banche nazionali “in sistema” il mercato non è preponderante, anche se una parte dei bond Cdp andrà collocata sui mercati internazionali.

Anche l’Italia torna comunque sul luogo di un “delitto” che nei primi anni Duemila ha commesso solo in parte, un po’ meno di altri. La febbre del real estate, in ogni caso, ha contagiato anche l’Italia: sia stata quella degli immobiliaristi falliti più o meno in fretta, fra Milano e Roma; o quella delle famiglie che si sono viste erogare mutui a tasso variabile per il 120% del valore della casa acquistata. Non è certo da qui che le banche devono ripartire: semmai dall’attento contributo a una ripresa graduale dei valori sul mercato, utili ad alleggerire la pressione diretta o indiretta degli asset immobiliari sui bilanci bancari e assicurativi. È questo d’altronde il vero “delitto” commesso dal sistema bancario, che si è invece caricato meno di altri di derivati collaterali a mutui concessi da altre banche, in paesi lontani, a debitori sconosciuti e variamente riassortiti nelle “società-veicolo”.

Il “salva credito” rischia però di essere uno zuccherino se governo e Bankitalia non fanno proprio il forte “desideratum” dell’Abi depositato direttamente sul tavolo del premier Enrico Letta: far risalire al sistema bancario italiano la china delle disparità regolamentari resa via via più profonda dall’impatto della speculazione sullo sviluppo di Basilea 3. E per ridurre lo “spread delle regole” non occorrono austerity fiscale o riforme strutturali nell’economia: serve principalmente un governo credibile a Roma per poterlo essere nuovamente a Bruxelles.