(Dal bloc-notes notturno di un cronista italiano nostalgico di altri agosti caldi nostrani e contento di aver fatto tardissimo a cambiare le pagine per il blitz di Jeff Bezos sul Washington Post).
Come in Italia è accaduto pochi giorni fa per Loro Piana (o potrebbe accadere a ore per l’Inter), le aziende zoppicano, ma i marchi di valore continuano ad avere molto mercato, a maggior ragione quando la crisi garantisce sconti extra o addirittura la messa in vendita di brand un tempo inaccessibili. Ma cosa faranno Bezos al “Post”, Pinault a Loro Piana, Tahir all’Inter dopo aver comprato il gioiello in vetrina? Giornali, produzione d’abbigliamento e calcio restano business reali: da gestire o rilanciare in tempi di crisi, cambiamento tecnologico, concorrenza globale. Però un vecchio giornalista italiano (di un giornale in crisi) da oggi è un po’ più rinfrancato: non è vero che i nostri “vecchi” prodotti non interessano più a nessuno, anzi.
A proposito: prima o poi il marchio più valutato al mondo (la Coca-Cola, circa 70 miliardi di dollari) entrerà nel mirino di qualche fondo-kolossal. Ma gli Usa che proteggono Apple contro Samsung e si preoccupano che il vecchio Post passi da un’antica famiglia dell’establishment washingtoniano a un laureato di Princeton che ha tenuto altissima la bandiera tecnologica di “America first” la dice lunga: “argenteria di famiglia” – almeno per ora – non è roba da svendere a sceicchi arabi o a magnati russi, neppure quelli coccolati da Wall Street.
Bezos fa un investimento personale: la sindrome di Citizen Kane resta vivissima nella società americana, dove il successo negli affari resta un ottimo biglietto da visita per la carriera politica. E se a una prossima campagna presidenziale vedessimo Bezos contro il suo omologo Michael Bloomberg? (Ridateci subito Silvio Berlusconi…)
E a proposito di “media” italiani: l’effetto-Bezos meriterebbe un’intera pagina di riflessioni. Chi sarà, anzitutto, il Bezos di Rcs? Con la variante che sul marchio del Corriere la dinastia di turno – gli Agnelli – non intendono affare “mollare” (sintetizzerebbe efficacemente Berlusconi), ma anzi hanno già raddoppiato. Però con i quattrini dell’azienda, non con il patrimonio personale, come il tycoon di Amazon.
Ultimissimo scarabocchio: all’apice della “new economy” America Online si comprò Time Warner: ma “carta su carta”, danzando pericolosamente fra le bolle di Wall Street. Industrialmente non funzionò. Ora tocca a Bezos, che però gioca con un modello diverso. Sempre lo stesso di chi poi normalmente vince: soldi sul tavolo e una faccia con nome e cognome ben visibile sul “deal”.
Auguri (anche per noi giornalisti).