L’editoriale di Donato Masciandaro sul Sole 24 Ore di ieri va segnalato in quanto tale. Propone per esteso una teoria sul “credit crunch” in Italia e una conseguente visione di politica creditizia valide da tempo presso la maggioranza degli addetti ai lavori, ma finora mai “disclosed” con chiarezza, autorevolezza, coraggio: neppure sul Sole 24 Ore, invischiato a più riprese nella polemica imprenditoriale di cortile contro il sistema bancario domestico.

Vale la pena di copiare l'”incipit” dell’articolo, che non ha bisogno di commento. “In autunno si potranno porre le basi per una qualche sorta di ripresa economica se le banche italiane sosterranno le imprese meritevoli. Ma a sua volta l’erogazione del credito potrà avvenire solo se le autorità di vigilanza europee e nazionali – in testa la Bce e la Banca d’Italia – non ripeteranno i clamorosi errori compiuti dalla Ue nell’autunno del 2011, quando una sciagurata politica dei coefficienti di capitali decisa da Consiglio europeo ed Ecofin e messa in atto dall’Eba, accentuò la recessione in atto, spingendo le banche verso il razionamento del credito“. Su ilsussidiario.net da tempo ci sforziamo di porre sul tappeto un “diverso parere” sul mantra in base al quale le banche sono state la causa della recessione italiana e non la vittima, a circuito vizioso. Il che equivale, in termini più generali, a porre in discussione il teorema – mai verificato – che l’Italia “meritasse” oggettivamente l’attacco speculativo dell’estate 2011: e le severe “lezioni” impartite da Europa e mercati assortiti; comprese quelle dell’Eba alle banche italiane.

Ora, comunque, sulla prima pagina del maggior quotidiano economico italiano, c’è chi scrive che la prova data da tutte le autorità Ue nel giudicare le banche italiane al centro dell’Azienda-Italia è stata “erronea”, “pessima”, “sciagurata” (ma non meno responsabile è stata la vigilanza bancaria nazionale, con la sola attenuante di essere schiacciata dal peso della politica, cioè dall’assoluta debolezza italiana in Europa nell’ultimo biennio). Ad affermarlo non è un bilioso ex ministro del governo Berlusconi o un arrembante intellettuale neo-grillino: è un affermato economista della Bocconi, capo di un centro studi di politica monetaria intitolato a Paolo Baffi, governatore della Banca d’Italia fra Guido Carli e Carlo Azeglio Ciampi.

Masciandaro è stato, fra l’altro, consulente della Procura di Trani nell’indagine contro presunti abusi da parte delle grandi agenzie di rating: un inedito su scala globale, ma in fondo anche a livello italiano, laddove i magistrati si mostrano sempre più solleciti a mettere sotto inchiesta banche e banchieri di quanto gli stessi colleghi statunitensi facciano con i mega-bancaorottieri di Wall Street.

Per Masciandaro, in ogni caso, le banche italiane non sono affatto “il problema”, ma devono essere aiutate a risolvere i loro problemi per poter poi soccorrere problemi di altri nell’Azienda. E il problema-base – dice l’economista – è “cromosomico”, cioè culturale. 

Le nostre banche devono fare quello che gli riesce meglio da sempre: erogare credito commerciale alle imprese del territorio di insediamento, raccogliendo risparmio al dettaglio presso le famiglie“. A leggerlo sembra lapalissiano, in realtà è un’affermazione duramente revisionistica: dura forse anche per chi, come Masciandaro, ha sempre fatto economia in campo liberista, pur distinguendosi sempre dall’ultra-liberismo ideologico.

Ma il suo ragionamento critico è completo. “Non si può avere la botte piena – un intermediario prudente – e la moglie ubriaca: alta redditività da quell’intermediario“. Altro attacco frontale a vent’anni di global banking: un sistema in cui l’unica regola del gioco è il profitto finanziario (quello del risparmiatore e quello dell’intermediario) ha portato a bruciare sia la risorsa-risparmio (che in Italia è stata sottratta al credito verso le imprese) sia la risorsa-banca (un’impresa stabile che dà stabilità finanziaria all’economia, diventa instabile per se stessa e per l’economia).

La ricetta – neppure troppo implicita nell’editoriale – è coraggiosa proprio perché mette drammaticamente in discussione due altri teoremi non dimostrati: che anche per l’Azienda-Italia l’one-best-way fosse gettare il proprio risparmio finanziario nel calderone dei mercati globali; che per le banche italiane fosse obbligato rinnegare se stesse: la loro natura “Bct”, sintetizza Masciandaro, “banche commerciali territoriali”. Banche che l’Eba ha terribilmente e ingiustamente punito nel momento in cui erano più cariche di titoli pubblici domestici sotto attacco speculativo esogeno. Banche che “Basilea 3” vorrebbe punire ancora proprio per sradicare definitivamente la loro “anima Bct”. Banche che, infine, tutte le autorità pubbliche nazionali (dal governo alla Banca d’Italia) hanno supinamente lasciato indifese sul piano politico, fuori dei confini italiani (ma anche dentro).

(Ps. Da oggi è verosimile che i professionisti dell'”antibanca italiana” ricominceranno imperterriti a polemizzare contro le “Bct italiane” sul commissariamento della Banca delle Marche. Ancora una volta proveranno a strumentalizzare “a rovescio” una crisi esemplare: Banca delle Marche è una Bct italiana che ha tradito la sua missione di finanziatrice delle piccole imprese di territorio, giocando d’azzardo nella finanza immobiliare, come dettava lo “spirito del tempo”. E se le Fondazioni azioniste vanno punite è appunto per l’essersi associate al “moral hazard” speculativo del management: per non aver esercitato a dovere il loro potere sussidiario di rappresentanti delle comunità locali. Ma prima di loro ha gravi responsabilità la Vigilanza Bankitalia, che avrebbe dovuto intervenire ben prima: a Macerata come a Siena. Ma forse ancora oggi un’authority troppo vigilante su quanto accade sui cosiddetti mercati – soprattutto se è una “vecchia” authority nazionale – i mercati “esuberanti” proprio non la sopportano).