“È difficile sostenere che Telecom sia diventata spagnola”. Può odorare di lana caprina il commento a caldo del ministro dello Sviluppo, Flavio Zanonato, primo esponente del governo a commentare l’accordo fra Telefonica e gli azionisti italiani. Può risuonare di stanco minimalismo da parte di un ministro strattonato fra il caso Ilva e quello Alitalia, con un occhio a Finmeccanica e l’altro, appunto, a Telecom. Può sembrare un cauto “endorsement” al presidente in carica di Telecom, Franco Bernabé, lui pure prontissimo a reagire con freddo fastidio all’accordo al piano superiore, nella holding Telco: un rimpasto liquidato come un semplice riequilibro fra l’azionista iberico e Intesa-Mediobanca-Generali. Può perfino fungere, il sindaco piddino (diessino) di Padova, da primo megafono per il coro di “no allo straniero” subito levatosi dal versante politico-sindacale di centro-sinistra.

È difficile, in ogni caso, dar torto a Zanonato e a Bernabé: e non per rispetto miope di un comunicato scritto in “finanziariese”, ma osservando la sostanza di una situazione in cui Telecom cessa (un pochino, anzi potenzialmente) di essere a controllo italiano, ma è ancora lontanissima dall’essere diventata spagnola. La Borsa stessa è rimasta alla finestra: il rialzo di Telecom è sembrato un guardingo incoraggiamento a dar seguito al riassetto; un primo cenno d’assenso al fatto che le cose hanno preso a muoversi, magari anche al fatto che un’integrazione Telefonica-Telecom può avere qualche senso industriale e quindi piacere ai mercati. Ma non è stata certamente una promozione del “pre-piano” implicito nell’operazione di ingegneria finanziaria su Telco. Anche da Moody’s è giunta un’indicazione notarile: per il debito e il rating Telecom non cambia nulla e il downgrading resta nell’ordine delle cose.

Di finanziario e industriale, dunque, in Telecom e dintorni è successo – ancora – poco. Tuttavia qualcosa è accaduto: dopo una stasi logorante (forse lunga addirittura tutti e sei gli anni dell’era-Telco) i grandi soci di Telecom – tutti: compresa Telefonica – hanno rimesso il voluminoso dossier sul tavolo del governo italiano: che è poi il vero soggetto indicato dietro l’espressione “autorizzazioni delle competenti autorità nel settore delle telecomunicazioni e antitrust”, cioè la condizione per l’effettiva ascesa di Telefonica al controllo di Telco e quindi di Telecom.

Per quanto paradossale e provocatorio, non è azzardato affermare che Telecom è stata (un po’) ri-nazionalizzata: che la “golden share” subito invocata da alcuni esponenti politici (come, ad esempio, Linda Lanzillotta), in realtà sta già funzionando alla rovescia. Sono gli azionisti “di ultima istanza” della parabola Telecom che – in una sorta di ordine del giorno del 25 luglio – abbozzano un’exit strategy per i propri interessi industriali (Telefonica) o finanziari (Intesa, Mediobanca e Generali) e lasciano alle “autorità” italiane lo scioglimento di tutti i nodi irrisolti del caso Telecom: l’italianità della rete, dell’occupazione, degli investimenti nelle reti di nuova generazioni; ma anche la cura della “bolla” di debito che l’Italia ha deciso di gonfiare dentro il suo ex monopolista pubblico con l’Opa del 1999. Allora, è vero, Telecom era già un’azienda privatissima: nel ‘97 l’amministrazione Prodi-Ciampi-Draghi aveva scelto la via più radicale, l’Ipo di Borsa e la creazione di una public company.

Quello che è capitato dopo l’ha riepilogato Alessandro Penati domenica su Repubblica, ma è una storia che abbiamo raccontato più volte anche su queste pagine (l’ultima qui). Non ha quindi torto neppure il premier Enrico Letta che, parlando nei dintorni di Wall Street, ha ricordato che Telecom è “un’azienda privata”, passata in sedici anni dal controllo degli Agnelli a quello di Roberto Colaninno (e amministratore delegato di Tim era Marco De Benedetti) fino a Tronchetti Provera e infine al trio di un salotto buono allargato e invecchiato. “Vigileremo”, ha garantito Letta: e non si riferiva certo al ruolo di Antitrust e Agcom.

La partita è ancora all’inizio: e sarebbe scontato guardare solo a uno scorporo annunciato della rete, con un’effettiva ripubblicizzazione a carico della Cdp. Se il sistema-Italia o altri “sistemi” riescono a elaborare progetti migliori – e offerte migliori – di quelle messe a punto da Telefonica e dalle istituzioni finanziarie partner in Telco si faccia avanti.