Certo, un gestore internazionale esposto su Luxottica ieri sera avrà “stramaledetto” Leonardo Del Vecchio, le sue tre mogli, i suoi tre figli, eccetera, forse un po’ anche la solita Italia. È stato di 2 miliardi di euro di capitalizzazione in fumo il disturbo complessivo (reale per un giorno) portato dalla (presunta) ”dinasty” esplosa nella famiglia Del Vecchio. Chi ne ha sopportato gli effetti per due terzi, peraltro, è stato il capostipite con i suoi familiari. Da capitalista “doc”, il cavalier Leonardo mantiene ancora sulla sua creatura un controllo doppio rispetto a quello richiesto dalla legge sull’Opa.

Non ha solo motivi affettivi: l’ultimo appuntamento di comunicazione finanziaria (semestrale 2014) l’azienda di Agordo scoppiava letteralmente di salute: fatturato di 3,9 miliardi in crescita, 393 milioni di utile netto (+12,8% a cambi costanti), una generazione di cassa record (321 milioni, dopo aver pagato 308 milioni di dividendi), un indebitamento pari a una volta il margine lordo aggiustato. Luxottica vende in tutto il mondo, guadagna, ha parecchi soldi in cassa e il suo debito consolidato può essere comunque ripagato da un solo esercizio di margine gestionale.

Un gruppo industriale che sta bene sul suo mercato, in cui il fondatore e azionista di riferimento tiene ancora su di sé il gusto e il rischio dell’investimento principale, i poteri e le responsabilità dell’imprenditore a tutto tondo: anche se Luxottica è oggi molto più grande di quella costruita dal vecchio martinitt milanese più di mezzo secolo fa. Un altro grande gruppo, ieri, ha fatto notizia sui media italiani e non: Fca, l’ex Fiat da ieri quotata a Wall Street. Ecco: lì la famiglia Agnelli ha mantenuto per molto tempo un 30% risicato (anzi a un certo momento sotto tutela bancaria per via di squilibri finanziari pressoché strutturali) non è riuscita a mantenere competitivo e redditivo il polo torinese nel suo scacchiere industriale e comunque non vi ha reinvestito capitali propri; ha acceduto a ingenti sussidi pubblici sia in Italia (senza mantenere i livelli occupazionali) che negli Usa; si è infine affidata a un manager ristrutturatore.

È una constatazione, non un giudizio: negli Usa Luxottica ha comprato nel tempo da azienda italiana. E Leonardo Del Vecchio ha diversificato i suoi investimenti personali – capitali suoi accumulati come imprenditore di successo – nelle privatizzazioni italiane (Autogrill e Credito italiano) e poi in un’Azienda-Paese come le Generali. Altri hanno investito sempre e solo i quattrini forniti dalle banche: esattamente come i super-manager delle public company non rischiano nulla, certamente non la buonuscita in caso di insuccesso.

Può darsi che lo svolgimento della sua vita familiare stia creando ora qualche rischio di interferenza su Luxottica. Può darsi che, a oltre 80 anni, Del Vecchio abbia preso una decisione frettolosa o non corretta nell’allontanare Andrea Guerra dal ruolo di Ceo. Può darsi che il mercato abbia avuto ragione nel “votare coi piedi”, vendendo di corsa Luxottica (ma non necessariamente in perdita visto il trend di lungo periodo di un titolo da investimenti stabili). Di certo, chi qui scrive non riserverà un solo istante all’alluvione di inchiostro in arrivo sui “limiti folkloristici del capitalismo familiare italiano, ecc.”.

Per quanto lo conosciamo, non lo farà neppure Del Vecchio: non si è mai curato neppure delle prime pietre dei cantori del turbocapitalismo (che magari sente su Luxottica odore di affarone a beneficio di qualche colosso internazionale), difficilmente lo farà per le ultime. Starà lavorando alle prossime decisioni. E vedremo chi, sul mercato, non ritornerà sui suoi passi.