L’incontro di ieri fra il presidente della Fondazione Cariplo e dell’Acri, Giuseppe Guzzetti, e quello della Fondazione Mps, Marcello Clarich – alla vigilia della Giornata del risparmio -, non è ancora una prova ma è qualcosa di più di un indizio sugli sviluppi del caso Mps. Rocca Salimbeni, duramente colpita dallo stress test Bce (2,1 miliardi di deficit patrimoniale), è in caduta libera in Borsa, dove ieri ha toccato il minimo storico di 0,6 euro (-40% da venerdì scorso, vigilia delle comunicazioni Bce). E mentre le agenzie di rating accendono inesorabilmente i fari su Siena, le regole della nuova vigilanza unica incalzano: entro il 10 novembre Mps deve presentare – anzitutto a Bankitalia – un progetto di rafforzamento e ristrutturazione.



Anche sui tavoli dell’Eurotower dovranno essere messe almeno una serie di guidelines credibili: e difficilmente potrà maturare entro quella data una decisione del Tesoro sulla proroga o addirittura sulla conversione in azioni dei Monti-bond di aiuto pubblico. Certo, qualche segnale potrebbe giungere già oggi, quando l’Acri di Guzzetti riunirà sul palco il ministro Giancarlo Padoan e il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco.



Piazza Affari già si attende una replica di quanto ha fatto Carige a cavallo della bocciatura da Francoforte: lanciare un aumento di capitale. Ma le Fondazioni – anche in questo caso – sembrano una sponda poco prescindibile nel futuro del Monte: che – ha confermato ieri il presidente uscente Alessandro Profumo – difficilmente manterrà un’indipendenza che dura dal 1472. Alle Fondazioni fanno capo i due “campioni nazionali” Intesa e UniCredit: candidate naturali a una “soluzione di sistema”. Di più: la Fondazione Mps – “too big too fail” – ha messo in serio imbarazzo l’Acri: più di quanto sia accaduto con la Fondazione Carige. Siena e Genova: due casi di Fondazioni che hanno mandato in crisi le banche a valle, restate sotto il controllo degli enti in violazione della legge Ciampi. Le Fondazioni (vigilate dal Tesoro) sono chiamate forse più delle banche a un salvataggio “di sistema” su una crisi causata da una “sorella che ha sbagliato”, una delle più ricche e importanti.



Quindi Fondazioni in campo: ma quali e come? Già un anno fa Guzzetti aveva provato a organizzare un intervento a più mani, non escludendo l’intervento della Cdp, in cui una quarantina di Fondazioni è consocia del Tesoro. Ma il piano era sfumato prima per la resistenza degli enti locali senesi alla diluizione della Fondazione Mps e poi per la capacità di Profumo di condurre in estate un aumento di capitale de 5 miliardi sul mercato: un’operazione che aveva richiamato due investitori internazionali come Btg e Fintech, che hanno affiancato il gigante assicurativo francese Axa. Non è stato sufficiente e non sorprende che Clarich – subentrato a Emanuela Mansi al vertice della Fondazione – parli fitto con Guzzetti: e non solo perché il giurista della Luiss, grande esperto di diritto delle Fondazioni, si considera quasi un allievo dell’avvocato.

Non è la prima volta che gli stessi possibili protagonisti di un ipotetico avvicinamento fra Intesa Sanpaolo e Mps ne accennano: Guzzetti (grande azionista Intesa via Cariplo) ne parlò una prima volta già prima della grande crisi bancaria. Da ultimo, pochi giorni fa, lo stesso Giovanni Bazoli, presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa, ha ventilato “nuove aggregazioni” in Italia dopo gli stress test, non escludendo che in futuro l’azionariato di Intesa possa accogliere investitori istituzionali a fianco delle Fondazioni. Un riferimento abbastanza trasparente a un’opzione di aggancio di Siena al gruppo milanese.

Ma i profili industriali funzionerebbero? L’incognita resta una: le ampie sovrapposizioni fra la rete Intesa e quella del Monte su almeno due quadranti: quello toscano (dove Intesa opera con la rete CariFirenze) e quello del Nordest (dove Mps ancora opera con l’AntonVeneta). È qui che qualsiasi piano non potrebbe non considerare cessioni in blocco, mentre gli osservatori di cose bancarie stanno già accendendo i fari su varie combinazioni. Una riscuote – sulla carta – più attenzione di altre: lo sganciamento di CariFirenze da Intesa e la sua aggregazione a Cariparma Credit Agricole, secondo uno schema già sperimentato da Intesa proprio a Parma.

La Cassa emiliana era all’interno del gruppo Intesa, ma venne scorporata quando il Credit Agricole dovette a sua volta sciogliere i legami stabiliti con il polo formato da Bazoli. Cariparma tornò autonoma e la Fondazione la seguì uscendo dal grande azionariato Intesa divenendo partner dell’Agricole: l’Ente Carifirenze, in falsariga, potrebbe replicare, affiancando Agricole e Cariparma in un nuovo polo multiregionale dell’Italia centrale. Ma non è escluso che altri player stiano studiando varianti dello stesso canovaccio: per esempio, Bnp Paribas, che controlla Bnl; oppure Deutsche Bank che tuttora opera in Italia con una banca retail & corporate. I giochi sono all’inizio, ma non dureranno all’infinito.