Ieri alle 4:35 pomeridiane ora di Londra, il Financial Times ha fatto risuonare la campana – non inattesa ma pur sempre sinistra – dei “Draghi-leaks”. Letteralmente: “Draghi’s Ecb management: the leaked Geithner files” è il titolo di un lungo post firmato da Peter Spiegel sul BrusselsBlog, l’osservatorio online del quotidiano della City su tutto quanto avviene nell’Ue. Proprio in questi giorni, dunque, FT è venuto in possesso delle minute delle interviste preparatorie a “Stress test”, il libro di memorie pubblicato lo scorso maggio dall’ex segretario al Tesoro americano Tim Geithner.
L’ex capo della Fed di New York ai tempi del crac Lehman – ripescato da Barack Obama appena eletto alla Casa Bianca per cavalcare l’immediato dopo-crisi – è stato un insider privilegiato della lunga crisi dell’euro, fra Grecia e Italia: uno “stress” finanziario e politico contro il quale il presidente italiano della Bce si risolse a puntare il suo personale bazooka il 25 luglio 2012. “La Bce farà whatever it takes, tutto quanto servirà per difendere l’euro”. Un’affermazione “totalmente improvvisata”, secondo Geithner, che nei suoi ricordi (inizialmente appuntati ma poi non pubblicati) dice: “Le cose peggiorarono drammaticamente in Europa durante l’estate e spinsero Draghi a dire quelle cose che io non avrei mai scritto, ma lui decise di farlo a braccio. Era a un meeting di banchieri e gestori di hedge fund e lui era molto allarmato da come fossero convinti che l’Europa fosse prossima alla fine. Così mise assieme un sacco di frasi tipo whatever it takes. Ridicolo” . Geithner rincara la dose: “Andai poi a vedere Draghi e, a quel punto, non aveva alcun piano. Aveva buttato lì nient’altro che una frase. Ma quelli la presero per buona”.
Naturalmente nei “leaks” c’è parecchio altro: a cominciare da annotazioni – assai più ruvide di quelle poi messe in bella copia – sulle pressioni da parte di Germania e Francia, nell’estate 2011, per l’estromissione di Silvio Berlusconi dalla guida del governo italiano. Ma il Cavaliere, in ritiro più o meno bueno o forzato, interessa ormai poco la City. Invece l’escalation di tensione fra Draghi e i banchieri centrali dell’Europa centrosettentrionale è “il” tema: e rischia di diventarlo sempre di più via via che i mercati – che attraverso FT parlano – gettano benzina sul fuoco. Tanto più che – in modo sottile – la questione sostanziale dell’avvio di un vero Quantitative easing nell’eurozona viene spostata sullo “stile di conduzione” di Draghi “fatto più di esternazioni improvvisate che di consultazioni con gli altri membri del consiglio”.
Ma perché i commentatori anglosassoni accendono luci tutt’altro che favorevoli sul “loro” banchiere centrale, sull’ex top manager della Goldman Sachs spinto a gran voce dai mercati prima alla guida della Banca d’Italia, poi di quella d’Europa? Perché accusare di improvvisazione – se non di dilettantismo – il banchiere centrale che vorrebbe replicare in Europa gli stimoli monetari con cui la Fed ha abbondantemente innaffiato la ripresa economica negli Usa ma soprattutto il rilancio di Wall Street? Ci sbaglieremo, ma l’ansia di riportare nell’eurozona un’instabilità strutturalmente “benefica” per chi realizza profitti sulle oscillazioni dei mercati è troppo forte.
Diamo per scontata, ovviamente, la costante, quasi idiosincrasica preoccupazione anglo-americana di “contenere” l’Europa germanocentrica: una preoccupazione che risente anche del pessimo sangue che corre in queste settimane fra il cancelliere tedesco Angela Merkel e il premier britannico David Cameron. Forse i Draghi-leaks non seguono a ruota i ben più imbarazzanti Lux-leaks che hanno già azzoppato Jean-Claude Juncker, neo-leader dell’Ue imposto dalla Germania? Nessuno sa se e quando Juncker dovrà forse dimettersi. Nessuno sa se e quando un ennesimo incidente in Bce farà forse titolare a FT: ”Will Mr Draghi have to go?”, la stessa formula usata dallo stesso giornale nel 1962, tre mesi prima che il presidente dell’Eni, Enrico Mattei, perisse in un incidente aereo tuttora oscuro.
Il destino prevedibile di Draghi sarebbe fortunatamente differente, ma prevedibilmente diverso da una giubilazione pura e semplice: da un sacrificio personale sull’altare della propria intelligenza economica. Sul Sussidiario abbiamo già messo nel novero dei pronostici la possibilità che sia l’economista romano il successore di Giorgio Napolitano al Quirinale. E che possa formare con il premier Matteo Renzi un ticket politico che funga da spina nel fianco della Merkel assai più di quanto possa fare il tecnocrate Draghi a Francoforte o il giovane premier democrat Renzi da solo a Roma. I mercati, forse, non hanno perso la fiducia in un personaggio come Draghi. Lo vogliono altrove.