È un fine anno decisamente inquieto per le banche popolari italiane. Gli echi del “comprehensive assessment” conclusosi lo scorso 25 ottobre, all’avvio della supervisione bancaria unica nell’eurozona, sono tutt’altro che spenti. Anzi: dall’1 gennaio le Popolari a sud delle Alpi sono serie candidate a obiettivi prioritari dei “vigilantes” inviati dai nuovi battaglioni formati a Francoforte sotto l’egida del Single Supervision Mechanism. La “vecchia” Vigilanza della Banca d’Italia non viene rottamata, ma il suo ruolo è fortemente ridimensionato a quello di osservatrice privilegiata piuttosto che di mediatrice reale e attiva fra l’Unione bancaria (Bce ed Eba) e i gruppi residenti nella penisola.  

L’esito dello stress test – con le Popolari di Milano e Vicenza  “nominate”  nella lista allargata delle 25 banche europee a corto di capitale – non promette quindi nulla di buono: non è certo remoto il rischio che nuove ispezioni discrezionali, decise fuori Italia, alzino nuovamente le asticelle patrimoniali e mettano sotto pressione gli assetti di controllo di molte Popolari.

Mentre in Italia continuano a infuriare le polemiche sul credit crunch – presunta concausa della lunga recessione – tendono a rinfocolarsi anche le antiche questioni legate all’ordinamento cooperativo e alla contendibilità delle Popolari, oggi pressoché tutte quotate in Borsa. Ed è in questo clima che hanno preso a circolare “rumor” su una possibile accelerazione di un iter di riforma del comparto. 

La “moral suasion” di via Nazionale ha messo al lavoro tre saggi: l’economista della Cattolica Alberto Quadrio Curzio, il giurista della Bocconi Piergaetano Marchetti e l’ex presidente di Borsa Italiana Angelo Tantazzi. A loro, un mese fa, l’AssoPopolari, oggi presieduta da Ettore Caselli, ha chiesto di formulare proposte di evoluzione della governance degli istituti, raccogliendo la costante pressione del mercato per un avvicinamento al modello di Spa. È probabile che i suggerimenti “dal basso” della categoria puntino a modificare nuovamente i parametri (ad esempio, la quota massima di possesso o il numero di deleghe assembleari) senza tuttavia stravolgere l’architettura cooperativa: senza quindi rendere una Popolare scalabile via Opa.

Ma è qui che il pressing del mercato – sempre a caccia di fusioni e acquisizioni non concordate, su titoli oggettivamente deprezzati al listino –  si sposerebbe stavolta con decisione con i “desiderata” della nuova vigilanza europea: per la quale la non omogeneità della governance delle Popolari (esattamente come sarebbe accaduto per banche controllate da Fondazioni, come Mps e Carige) rappresenterebbe un fattore di rischio per la stabilità del sistema. Di qui i sussurri su una previsione di legge – addirittura un decreto – che spingerebbe con forza le Popolari verso il modello di Spa: fissando, ad esempio, un limite temporale (più o meno ampio). 

Una sorta di “legge Amato-bis” un quarto di secolo dopo quella che trasformò in Spa tutte le Casse di risparmio e le banche pubbliche: con lo stesso obiettivo di politica creditizia (promuovere aggregazioni di irrobustimento del sistema). Vedremo quali risultati produrrà la dialettica fra le varie parti in campo (Popolari, Tesoro, Bankitalia, Bce, Ue, Borse).