Il cardinale Pietro Ciriaci, un curiale romano decisivo per l’elezione di papa Giovanni nel 1958, ripeteva che «un vero papabile è uno di noi cui alcuni di noi hanno chiesto di accettare i loro voti e lui ha accettato». In concreto parlava del cardinale Angelo Giuseppe Roncalli, che aveva accettato di essere “papabile” per la successione di Pio XII. Gliel’avevano chiesto compatti i numerosi cardinali di lingua francese (Roncalli era stato nunzio a Parigi) assieme ad altri arcivescovi europei e americani e a pochi italiani.



Lui era un roccioso sacerdote bergamasco che aveva trascorso tutta la vita nella struttura istituzionale della Chiesa. Primo incarico dopo il seminario: segretario del suo vescovo. Poi curiale in Vaticano, diplomatico all’estero, patriarca di Venezia. Infine: pontefice. Se tuttavia uno legge il suo “Giornale dell’anima” capisce che l’uomo rimase fedele a una solida semplicità di fondo dal primo all’ultimo giorno.



L’uomo che alla vigilia del conclave confidava serenamente al suo diario di avere buone probabilità di essere eletto era anche quello che ne aveva meno l’ambizione e aveva invece ben chiaro cos’avrebbe dovuto fare in quel “nuovo incarico”. Forse anche per questo quel conclave scelse lui: sorprendendo (un po’) chi puntava su porporati ritenuti più smart oppure più potenti come capicorrente nel Sacro collegio.

Anche il ministro dell’Economia Giancarlo Padoan ha vissuto e lavorato a Parigi, come chief-economist dell’Ocse. Anche lui è forse più conosciuto all’estero che in Italia. Anche lui ha sempre lavorato nella “tecnostruttura” italiana e internazionale: economista universitario a Roma, Bruxelles, Tokyo; consigliere economico dei premier Massimo D’Alema e Giuliano Amato; direttore esecutivo del Fondo monetario internazionale; vicesegretario generale dell’Ocse. Anche lui non è considerato (anzitutto da lui medesimo) un primo della classe o un leader, ma un super-affidabile uomo di Stato sì. Anche lui non ha mai reciso o rinnegato le sue radici politico-culturali: quelle di una critica del capitalismo da posizione marxiste, anche se mai antagonista, mai “outsider”, mai dubbiosa sulle regole del gioco valide in Italia/Europa nel secolo ventunesimo e globalizzato.



La direzione della Fondazione ItalianiEuropei co-guidata da D’Alema e Amato è forse il profilo più corretto e aggiornato dell’uomo che – alla vigilia del discorso di addio del presidente Giorgio Napolitano – sta crescendo con decisione nei polls per la successione al Quirinale.

Non è affatto detto che sarà Padoan il prossimo presidente della Repubblica. È vero invece che alcuni gli hanno chiesto la disponibilità ad accettare l’incarico: fra questi Napolitano e verosimilmente anche il premier Matteo Renzi. Padoan è un tecnocrate internazionale che si da del tu al telefono con il presidente della Bce Mario Draghi, ma sarebbe un errore catalogarlo come “banchiere”, come professionista ortodosso della finanza di mercato, anche se gode certamente degli affidavit di Carlo Azeglio Ciampi.

È un tecnico, ma ha sempre lavorato come diretto consigliere dei governi: a Palazzo Chigi come all’Ocse. È il ministro politico di un governo politico ed è addirittura più “trasversale” al Pd di quanto sia lo stesso premier-segretario Renzi: forse per questo sta emergendo come figura in grado di risolvere il complicatissimo puzzle del Quirinale. Compresa una prospettiva di cui chi qui scrive rimane personalmente convinto: la necessità di offrire a Draghi la sponda più alta (l’eventuale exit verso il Quirinale) nella partita a poker che prevedibilmente deciderà nelle prime settimane del 2015 lo scontro finale al vertice della Bce.

È vero che tutte le diplomazie sono al lavoro per vincere le resistenze della Bundesbank a un Quantitative easing nell’eurozona: ad esempio, ipotizzando che i paesi deboli beneficiari di acquisti di titoli pubblici mantengano immobilizzate presso le rispettive banche centrali dei fondi a coperture dei rischi di perdita. Ma non è affatto escluso che alla stretta finale Draghi debba più o meno esplicitamente giocare – al tavolo del cancelliere tedesco Angela Merkel – la carta delle sue dimissioni dall’Eurotower. E il “bazooka” (politico e finanziario) sarebbe davvero carico soltanto con la certezza di una “chiamata” alla presidenza della Repubblica italiana: di fatto come massimo esponente istituzionale dell’opposizione crescente al rigorismo tedesco nell’Ue.

La prospettiva ha tuttavia verosimile bisogno di un alternate: di un candidato che al momento costruisca e rappresenti adeguatamente un orientamento condiviso in Italia (come profilo personale, politico interno, europeo) e sia in grado sia di entrare autorevolmente al Quirinale, sia di farsi eventualmente da parte a beneficio di super-Mario. Ci sono pochi dubbi sull’unico nome adatto a vestire gli abiti di questo “candidato X”: Pier Carlo Padoan.