La prima buona notizia dal Forex, tenutosi sabato, è che nessuno ha perso tempo in chiacchiere pericolose. Il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha lasciato perdere le recenti ramanzine para-grilline: in Italia è tutto colpa delle banche (recessione, disoccupazione, aziende che chiudono o falliscono, ecc.) e dei loro banchieri, troppi e superpagati. I banchieri in platea, dal canto loro, non hanno avuto motivo per tradurre in fischi aperti un malumore crescente nei confronti della vigilanza (e ancora una decina d’anni fa l’applauso convinto era la regola, soprattutto al Forex).

Se nel 2014 non è più tempo di liturgie vecchie, non è neppure il caso che l’Italia delle banche somigli a quella che è andata a Strasburgo a manifestare contro il presidente della Repubblica italiana che andava a difendere le ragioni dell’Italia all’Euro-parlamento. I banchieri italiani – attaccati dal populismo di ogni colore – sono esasperati, anche se non privi di responsabilità: merito comunque di Visco aver capito – almeno sabato – che l’anno delle decisioni (ingresso nell’ Unione bancaria, uscita dalla recessione) non poteva iniziare con prediche inutili e liti da pollaio.

La seconda buona notizia è che, con il minimo di parole, dal Forex è uscita una cosa, un passo concreto. Dietro la sigla “bad bank” c’è anzitutto un accordo: le sofferenze bancarie – che la recessione ha gonfiato e che soffocano il credito – non sono una peste di cui le banche devono vergognarsi e che le authority devono bruciare al rogo, assecondando i forconi di turno. Sono invece un problema (grosso) da gestire: iniziando a risolverlo quanto prima rispetto all’arrivo dei nuovi vigilantes della Bce e dell’inizio della loro “asset quality review” (gli Stati Uniti, nel 2008, hanno atteso troppo a gestire il gigantesco accumulo di asset tossici da parte della finanza derivata, ma poi hanno impiegato poche settimane a varare il Tarp: l’Europa sta procedendo a piccoli passi sul sentiero dell’Unione bancaria per risolvere un problema epocale e globale non originato in Europa, ma che ha avuto nei paesi periferici dell’Europa una delle aree di ricaduta più gravi).

La terza buona notizia – forse la più “notizia” fra tutte – è che l’iniziativa di cartolarizzare volumi di crediti problematici viene lasciata al settore, cioè al mercato: è approvata e incoraggiata dall’autorità vigilante nazionale, ma non promossa da essa (com’è stato ad esempio in passato, per lo scorporo dei “bad loans” di Banco Napoli-Isveimer o – più di recente – di Banca Italease). E un sistema bancario domestico prossimo a un altro passaggio d’età – simile a quello che una ventina d’anni fa ha lanciato privatizzazioni e concentrazioni – può dar prova della sua solidità di fondo: quella che del resto gli ha consentito di limitare i danni dopo la deflagrazione planetaria del 2008.

Più bad bank generate da singoli gruppi (certamente i due maggiori, Intesa e UniCredit) e probabilmente altre bad bank “intergruppo” o addirittura “di categoria” (il Credito cooperativo?): in ogni caso – in partenza – non con lo Stato come partner o motore. Che sia Mediobanca con il gestore statunitense Kkr, che siano altri gestori italiani ed europei a promuovere una banca-fondo per accogliere asset problematici, lo Stato non potrà destinare al settore bancario risorse di cui non dispone per altre categorie di imprese o contribuenti privati.

È l’ultima notizia: né buona né cattiva, dipenderà da come il progetto verrà sviluppato. È ovvio che la bad bank spagnola Sareb, articolata attorno al fondi di salvataggio Frob, si pone come modello. Ma esso affonda le sue radici – meno di due anni fa, ma sembra già passato remota – nella dichiarazione virtuale di default bancario da parte di Madrid di fronte all’Europa: l’Unione bancaria è stata la risposta a una richiesta di aiuti pubblici europei multimiliardari. L’Italia se li può permettere, anzitutto politicamente? Meglio pensare – come nocciolo duro – a grandi investitori privati assieme alla solita e proverbiale Cassa depositi e prestiti (cioè ancora una volta dai capitali di lungo periodo accumulati dalle ex banche pubbliche e dal risparmio minuto e paziente delle famiglie presso la Posta).