Del milione di parole d’insediamento del governo Renzi resta alla fine una sola cifra vera: non i 10 miliardi di taglio preannunciato per il cuneo fiscale e nemmeno in via di sblocco presso la Cdp per i pagamenti dei debiti Pa. No, la cifra vera è centomila euro: il patrimonio finanziario dal quale il braccio destro del premier, Graziano Delrio, si è detto convinto di poterne prelevare qualche decina senza eccessive sofferenze. Forse è stato il primo scivolone di un esecutivo dilettante (è stata l’interpretazione dei più). Forse è stato un pronto avvertimento interno da parte del premier e del suo plenipotenziario al nuovo ministro “tecnico” dell’Economia Piercarlo Padoan, che domenica a pranzo era ancora in volo dall’Australia. Forse è stato un “ballon d’essai”, rudimentale e spericolato: per tastare il terreno e magari piantarvi qualche paletto, contando che i mercati che – per bocca del finanziere offshore Davide Serra – sembrano osservare con benevolenza il più giovane premier italiano di sempre. Nessun analista ha comunque azzardato che dietro le parole di Delrio vi fosse un’idea politica più articolata di quella che, a fine 1992, ha portato il governo Amato-1 al prelievo-blitz del 6 per mille sui conti correnti bancari.  E’ però nello stile di questa testata provare sempre a vedere politica anche dove magari non c’è: anzitutto a potenziale beneficio di chi ha responsabilità di governo.

La semplificazione ”renziana” di una proposizione politico-economica (”Aumentare la tassazione delle rendite finanziarie per tagliare il cuneo fiscale”) non è da cestinare a priori: il nuovo premier chiede quattrini a chi li ha (gli interessi attivi e forse anche una fettina del titoli all’anziana signora che ha pensione e risparmi accumulati) per sostenere chi non ha né redditi né tanto meno risparmio (il figlio precario o il nipote disoccupato di quella signora). Siamo quasi all’abc della scienza delle finanze: alla fiscalità redistributiva “solidale” disegnata dalla Costituzione. Tralasciamo volutamente di notare che molte gambe non reggono più da tempo quel disegno: il controllo quantitativo e qualitativo della spesa pubblica, un’effettiva equità tributaria e un’efficace lotta all’evasione. Ma ricapitoliamo: gli italiani più anziani – i detentori della larga parte della ricchezza finanziaria delle famiglie italiane, statistiche alla mano – facciano uno sforzo a beneficio degli italiani più giovani e accettino un sacrificio misurato dei loro sudati risparmi per rimettere in moto l’intero paese, anche a vantaggio delle loro pensioni.

Raccontata così – e Renzi è per ora solo un grande “storyteller” – potrebbe rivelarsi una narrazione politica accettabile perfino per chi ne dovesse sopportare nell’immediato le conseguenze economico-finanziarie. Proprio per questo era – nel caso – qualcosa che il premier avrebbe dovuto riservare a sé davanti al Parlamento: evitando di affidarla a uno “sherpa” in tv, nell’insidiosissimo dopo-pranzo domenicale delle famiglia. Ed era questa – nel caso – l’unica occasione in cui non fare cifre e contare invece sull’immaginifico alfabeto renziano: quello che – un esempio per tutti – assimila la sua fretta di scalare la politica italiana a quella «delle mamme che accompagnano i figli a scuola la mattina»

Invece le vecchiette italiane – la domenica sulla Rai – si sono viste dividere burocraticamente in due gruppi, come all’arrivo ad Auschwitz: quelle con più e quelle con meno di centomila euro in BoT. Perfino alla Fornero più vituperata scappò una lacrima quando annunciò (sempre di domenica) la manovra sulle pensioni nel decreto salva-Italia e il suo gelido premier-tecnocrate, Mario Monti, dovette confortarla in diretta.

Per quanto rilevantissima, siamo tuttavia ancora alla dimensione mediatica, “sovrastrutturale” di un abbozzo di politica finanziaria: al tentativo (in questo caso clamorosamente mancato) di riprodurre un fattore economico strategico chiamato “fiducia dei contribuenti-risparmiatori nel loro Stato”, nello Stato che preleva risorse finanziarie dai suoi cittadini. La dimensione “strutturale” dell’ipotesi variamente etichettata come “rimodulazione della tassazione delle rendite finanziarie”  o “imposizione patrimoniale straordinaria” riguarda invece la sua giustificazione e il suo obiettivo. Il taglio del cuneo fiscale rimane sempre una leva di “public policy”: pone sempre e ancora lo Stato erariale come intermediario centrale di risorse economiche.

Uno Stato veramente “sussidiario” – forse – potrebbe fare ponti d’oro alla nonna che regala parte dei suoi BoT a suo figlio o a suo nipote per avviare o sviluppare un’impresa: potrebbe agevolare lei e loro. E potrebbe (dovrebbe) liberare risorse al suo interno: ma di spending review – quella che colpirebbe i dipendenti pubblici irreggimentati dai vecchi sindacati – Delrio non ha parlato in tv, comincia a parlare del “dossier Cottarelli” in qualche intervista. E anche Renzi non ha certo messo alla frusta i suoi spin-doctor per trovargli l’abracadabra giusto: non per entrare a Palazzo Chigi (può essere stato perfino facile), ma nelle mille palazzine di un’amministrazione pubblica che l’Azienda-Italia non si può più permettere.