La Vigilanza Bce – guidata dalla francese Danielle Nouy – esordisce annunciando l’obbligo di ricapitalizzazione “maledetta e subito” per le banche dell’eurozona che non superassero in corso d’anno gli stress test d’ingresso nell’Unione bancaria: test che si profilano combattuti nelle regole e duri nell’esecuzione. L’Italia, ancora una volta, si segnala per alcune risposte sollecite e sostanziali. Il Banco Popolare decide un aumento a sorpresa e in anticipo: poco dopo aver archiviato le ultime velleità di rilancio sull’ex impero immobiliare di Luigi Zunino. Ma anche Intesa Sanpaolo – non smentendo di avere lo studio un maxi-scorporo di crediti problematici e immobili in una “bad bank” – appare sincronizzata con lo “spirito del 2014”: e Piazza Affari regala al titolo due ore di gloria in una giornata contrastata, accreditando anche uno sganciamento rapido da Telecom e Alitalia. Ma anche UniCredit, in corsa, ha comunicato lo smobilizzo di 700 milioni di “bad loans”.
Certo, nel fine settimana, il commissario Ue Joaquin Almunia, è andato di nuovo in pressing sul piano Mps: l’afflusso di capitali privati freschi a Rocca Salimbeni e il veloce ritiro dell’aiuto statale – tutto fortemente voluto dal presidente Alessandro Profumo – non possono essere ritardati da una Fondazione aggrappata alla propria sconfitta. Nel frullatore della cronaca, anche le parole hanno forma e peso: a cominciare da quelle del presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, che in un’intervista, ha riepilogato la lista dei temi su cui le banche italiane si attendono risposte. Anzitutto “Italia su Italia”: sabato a Roma, dal governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nel suo tradizionale “discorso alla nazione bancaria” al convegno Forex.
Anche Patuelli ha mostrato un piglio aggiornato ai tempi: peraltro già espresso nella “mancata ricevuta” delle nuove istruzioni di vigilanza sulla governance emesse da Banca d’Italia: troppa severità formale, pregiudiziale, arbitraria rispetto all’Europa, hanno lamentato i banchieri. Un passo pubblico – la protesta Abi verso l’insistenza di Via Nazionale su posti in consiglio e retribuzioni – che ha fatto il paio con le dimissioni simboliche dell’intero esecutivo dell’Associazione quando fu licenziata la bozza definitiva di Basilea 3. I temi da allora non sono cambiati, ha sottolineato Patuelli: la spirale spread-austerity-recessione e il suo mix con lo sviluppo delle nuove regole (in Europa e nel mondo) ha strangolato le banche italiane, penalizzando le loro capitalizzazioni in Borsa, ma soprattutto costringendole a un credit crunch di cui sono ritenute prime responsabili. Di qui il cannoneggiamento continuo – di annunci di authority e di polemica politica – di fronte al quale l’Abi non ha mai sentito davvero al proprio fianco la Banca d’Italia.
Così non sorprende che – in un’editoriale su Il Corriere della Sera – l’economista Lucrezia Reichlin sia critica sulla debolezza del sistema bancario italiano al cantiere dell’Unione bancaria: un passaggio in cui i sistemi-Paesi più forte dell’Ue (Germania ovviamente in testa) starebbero oggettivamente prevaricando i diversi percorsi di sviluppo domestico e convergenza europea. Certo, da studiosa della London School of Economics (a due passi dall’Eba) e da consigliere indipendente di UniCredit, Reichlin avrebbe potuto forse far sentire prima la sua voce, invece di indulgere “a prescindere” nella vicinanza all’ultra-rigorista Mario Monti.
In ogni caso, male non farà a Visco – preparando il suo discorso – ascoltare molte voci “non assonanti”, quello che ancora due anni fa sembrava un verbo tecnicamente insindacabile. “Lo vuole l’Europa, lo vogliono i mercati”: di tempo (prezioso) ne è passato, ma forse non è troppo tardi per difendere – almeno un po’ – uno dei pochi settori dell’Azienda-Italia che ha ancora dimensione, tradizione, mercato.