È ormai evidente come la sortita polemica di Mauro Moretti sugli stipendi dei super-manager pubblici nasconda uno scontro più sostanziale con il premier Matteo Renzi: a maggior ragione quando il governo – per bocca del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan – ha incluso le Fs nella lista delle nuove privatizzazioni. Poco più di un mese fa, del resto, Renzi ha respinto la candidatura dell’amministratore delegato delle Ferrovie a ministro dello Sviluppo economico e oggi medita verosimilmente di non confermare Moretti al suo posto nella partita primaverile delle nomine pubbliche.

Non è difficile intuirne le ragioni: Moretti, sessantenne ex segretario generale della Cgil Trasporti, è il prototipo del “notabile di centrosinistra” che il quarantenne segretario-premier del Pd considera l’avversario più insidioso per il proprio progetto politico e di governo. Le stesse motivazioni hanno tenuto fuori dall’amministrazione Renzi – almeno per ora – un personaggio come Franco Bernabé e hanno verosimilmente ispirato la prima mossa sulla scacchiere delle nomine. Mediobanca, Generali e Intesa Sanpaolo, in vista del rinnovo della presidenza Telecom, hanno infatti promosso con Telefonica la chiamata di Giuseppe Recchi in scadenza al vertice Eni, incontrando certamente il favore tacito di Palazzo Chigi.

Stefano Folli – osservatore molto distaccato dei primi movimenti del governo Renzi – ha notato che la “querelle” innescata da Moretti sui milioni di euro delle retribuzioni top delle aziende pubbliche può offrire in questi giorni una sponda utile a un premier messo a dura prova sul fronte della politica finanziaria: delle decine di miliardi di euro difficili da liberare nel groviglio di regole e rapporti di forza dell’Unione europea. Scornarsi ai primi incontri con la super-cancelliera Angela Merkel può non rappresentare una sconfitta mortale per Renzi: scendere subito a patti con lobby e “ras” – soprattutto quelli residenti nella propria area politica – può essere invece irreparabile. Se non può – ancora – manovrare il bilancio pubblico come vorrebbe, l’esecutivo è quasi obbligato a giocare con le aziende pubbliche: calando la carta del rinnovamento generazionale e dell’accelerazione delle privatizzazioni.

Certo, resta politicamente stimolante osservare un ex leader della Cgil difendere il proprio stipendio milionario, mentre la segretaria generale in carica della Cgil, Susanna Camusso, incalza il governo perché rimetta quattrini nelle tasche degli italiani “che hanno già pagato la crisi”, in termini di stipendi e posti di lavoro tagliati e di tasse aumentate. Il vecchio sindacalista, d’altronde, sa di toccare corde importanti – in tempi di “spending review” – presso oltre 70mila dipendenti di un gruppo ancora a totale controllo statale, riserva indiana privilegiata di un sindacato corporativo e novecentesco. 

Moretti, dal canto suo, rivendica un indubbio risanamento del bilancio Fs, ma è anche il capo di un’azienda concessionaria di pubblico servizio quotidianamente sotto attacco da parte di milioni di pendolari per la qualità di quel servizio. Il suo profilo assomiglia un po’ troppo a quello di molti banchieri che hanno difeso e continuano a difendere il loro bonus come percentuale congrua di un profitto “mordi e fuggi” realizzato a vantaggio dei fondi grandi azionisti, ma spesso a danno dei clienti.

Altro versante sul quale Moretti è via via sostenuto o criticato, vezzeggiato o temuto è quello della liberalizzazione del business ferroviario: terreno – quello dell’Alta (e redditizia) velocità, sul quale Fs compete con Ntv, nella quale Luca di Montezemolo sta mettendo l’immagine, Diego Della Valle un po’ di capitale, Intesa Sanpaolo del credito e il polo statale francese Sncf il patronage imprenditoriale (a proposito: Montezemolo è il presidente pre-designato di Alitalia in fase di cessione a Etihad). Non è un caso che proprio Della Valle abbia invitato prontamente (forse un po’ troppo…) Moretti a confermare l’intento-minaccia di andarsene.

I super-manager e i loro bonus più o meno maxi; il costo-qualità dei servizi di mobilità basica per il cittadino, il lavoratore, l’imprenditore, il turista, ecc.; la liberalizzazione, la privatizzazione, l’internazionalizzazione di un mercato importante, di un’infrastruttura davvero strategica per l’Azienda-Paese. Tutto si può dire, ma non che la diatriba Renzi-Moretti sia robetta da giornali della domenica. E quando Moretti sembra prevenire i “desiderata” di Renzi con un’intemerata classica (“Mi avete stufato, me ne vado, io un posto lo trovo sempre”), non riesce a evitare di scagliare sul tavolo l’altrettanto classica carta del ricatto lobbystico: senza di me (senza di noi) Fs (il Paese) si sfascia del tutto. Ma Renzi ha già dimostrato di essere uno cui piace sbagliare da solo. E se la Cgil non vuole pagare il biglietto è probabile che stavolta debba scendere dal treno.