L’alleanza fra Del Vecchio, Benetton e Fondazione Cariplo. L’arresto dei fratelli Magnoni per il caso Sopaf. Grattacapi e mal di pancia di milioni di piccoli proprietari per l’arrivo della nuova Tasi. Ma anche le inchieste sugli appalti Expo. È il mattone il filo rosso di tanta attualità italiana; anzi: lo resta. Non c’è da stupirsi: è fatta per due terzi di immobili la ricchezza finanziaria delle famiglie italiane, grandi o piccole. Il real estate è l’unico giacimento di risorse strategiche, un raro “vantaggio competitivo” su cui continua a contare un Paese storicamente risparmiatore. Lo sa bene anche il governo – anzi: qualsiasi governo – che non riesce mai a fare a meno di affrontare l’emergenza fiscale con una quasi-patrimoniale permanente sulle case: ma sempre tarda a valorizzare i suoi asset immobiliari.

Non c’è neppure da scandalizzarsi se un’economia in recessione cerchi negli appalti la scintilla e la benzina per la ripresa: la ricetta la inventò novant’anni fa Lord Keynes e fu applicata con successo dal presidente degli Stati Uniti Roosevelt (e anche il New Deal pagò i suoi prezzi ai lobbysti e all’etica pubblica). Al giro di boa del millennio, il suo successore repubblicano George Bush cercò di fare del mattone finanziarizzato il paracadute per lo scoppio della mongolfiera dei mercati “esuberanti” degli anni ‘90. La leva non fu però la spesa pubblica, ma la finanza privata: è andata comunque a finire come sappiamo. E i fratelli Magnoni saranno pure discendenti di Michele Sindona, ma da grandi hanno lavorato a Lehman Brothers: e prima che le operazioni tossiche Sopaf infettassero conti delle casse previdenziali di giornalisti e ragionieri, la Lehman e le sue sorelle hanno seminato strumenti collaterali pericolosi nei portafogli di migliaia di fondi professionali europei. (Se poi la Procura di Milano arresta a orologeria due ex consulenti dell’Opa Telecom, sponsorizzata da Massimo D’Alema e Pierluigi Bersani, questo è un altro discorso).

Dunque rieccoci alle prese col mattone: come opportunità quasi obbligata per l’economia privata e per quella pubblica; come rischio permanente, ma non senza antidoti. L’alleanza in cantiere fra le strutture di gestione immobiliare di Beni Stabili, Polaris e Investire è un segnale generato dal Sistema-Italia che sarebbe un errore sottovalutare. Quelle di Leonardo Del Vecchio e della famiglia Benetton sono due storie di capitalismo nazionale di successo nell’ultimo quarto di secolo: due storie industriali sviluppatesi poi in territorio finanziario con le privatizzazioni e anche con la diversificazione nell’immobiliare, infrastrutturale e privato (e soprattutto diverso da quello arrembante di cognomi già quasi dimenticati come quello di Stefano Ricucci). Cariplo è sinonimo di Cassa depositi e prestiti e di social housing: avviato attraverso fondi della Cdp ma anzitutto in proprio, articolando la piattaforma Polaris nelle gestioni finanziarie e in quelle immobiliari.

Prima ancora che con sette miliardi di dote nei fondi gestiti, l’alleanza parte con importanti asset immateriali: i nomi (italiani ma di standing globale) e l’expertise nella relazione con tutti gli interlocutori dell’immobiliare italiano (governo, authority, banche e Borsa, grandi costruttori, ecc.). Un mega-gestore immobiliare con queste caratteristiche può (può…) essere veicolo – certo non unico in Italia – di uno Stato che dovrà lavorare molto sull’immobiliare ma che non può e non vuole farlo in prima persona. Può essere il baricentro di un network che già in alcune iniziative si è seduto allo stesso tavolo: da UniCredit a Intesa Sanpaolo a Goldman Sachs e alle Generali.

Anche le casse professionali si sono sedute a quel tavolo: tirate un po’ per le corna dall’allora ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. Ma non è stata poi un’idea così cattiva, visti i risultati del tardo immobiliarismo fai-da-te.