I conflitti scoppiati al vertice alla Procura di Milano – sotto procedimento al Csm su esposto di un procuratore aggiunto – sarebbero oggetto di un complotto, se addirittura non sono stati provocati ad arte: è la tesi di Repubblica, che ieri ha paventato un “golpe” politico per disarticolare «l’élite della magistratura». Il Corriere della Sera – principale quotidiano di Milano e grande sponsor della prima “Mani pulite” – la pensa invece diversamente: l’editoriale di ieri sottintende che è forse la Procura di Milano che sta complottando contro se stessa, contro un evento strategico come l’Expo e, soprattutto, contro la credibilità pubblica di uno dei tre poteri fondamentali dello Stato. Di qui la richiesta di una riforma dell’ordine giudiziario: prospettata giusto ieri, in tempi brevi, dal vicepremier Angelino Alfano, ex ministro della Giustizia ed ex delfino del “detenuto” Silvio Berlusconi. 

Corriere e Repubblica si sono trovati d’accordissimo, ieri, nel dar entrambi spazio al nuovo skyline di Milano: della Milano dell’Expo, mezzo secolo dopo la grande ricostruzione post-bellica. Eppure, a una settimana delle elezioni europee, il leader del Movimento 5 Stelle strilla che l’Expo non è altro che un complotto politico-affaristico, una sorta di “sacco di Milano” (non diversamente, i no-Tav continuano nella loro guerra illimitata ai cantieri della Val di Susa). Due inchieste della Procura di Milano hanno accertato alcuni illeciti negli appalti Expo e condotto ad alcuni arresti cautelari: ma sono le indagini in conflitto di cui sopra, a loro volta sospettate di essere più o meno consapevolmente strumenti di complotto. Il premier Matteo Renzi ha tamponato l’emergenza nominato some “super-auditor” dell’Expo un procuratore antimafia come Raffaele Cantone. Ma il neo-presidente dell’Authority anti-corruzione ha subito tacciato di debolezza e di presa in giro la normativa-strumento che il Parlamento sta preparando: eppure la bozza è firmata dal presidente del Senato Piero Grasso, ex procuratore di Palermo.

Silvio Berlusconi insiste nel chiedere una commissione d’inchiesta parlamentare sulla svolta italiana del 2011: dopo che un libro dell’ex segretario al Tesoro americano Tim Geithner ha ventilato un complotto di tecnocrati europei per forzare le dimissioni del cavaliere. L’allora ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, teorico della prima ora riguardo “il Grande Complotto del 2011” resta tuttavia sempre più propenso a credere all’azione manipolatoria dell’oligopolio bancario internazionale sullo spread italiano piuttosto che ai giochi di corridoio della politica europea. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, regista della transizione italiana di tre anni fa, difende la trasparenza storica di quanto è accaduto, la sua drammatica necessità: a sua volta, in questi giorni, lui stesso continua però a essere lambito dagli echi del processo di Palermo, sulla presunta “trattativa Stato-Mafia” dei primi anni 90.

La Confindustria celebrerà in settimana il passaggio formale della presidenza di Giorgio Squinzi dal primo al secondo biennio: ma in un clima di sospetti, fra rumori di complotto neppure troppo attutiti. Squinzi ha chiesto e ottenuto le dimissioni da vicepresidente di Aurelio Regina, capo degli imprenditori romani, decisivo due anni fa per l’elezione del milanesissimo leader della Mapei. Per la cui successione – ma mancano due anni – è però già sceso in pista un altro big (forse l’ultimo big) della grande industria milanese: Gianfelice Rocca.

Il presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli, è stato raggiunto da un inatteso avviso di garanzia da parte della Procura di Bergamo per «ostacolo alle autorità di vigilanza»: accusa grave per un banchiere, benché originata da un esposto di un gruppo di piccoli azionisti di Ubi, iniziativa in sé fragile come tanti strascichi assembleari di Popolari di provincia. Nuvoloni e temporali sulla testa del Professore erano però stati annunciati – con timing perfetto – da un romanzo scritto da Luigi Bisignani: personaggio che più di chiunque altro – in Italia – ha incarnato la logica delle manovre sotterranee (vere o immaginarie). Ed è vero che – nella filigrana della fiction – Bisignani non ha puntato il dito sul caso Ubi, ma sui legami fra Bazoli e Intesa e il finanziere polacco Romain Zaleski, da tempo in forti difficoltà finanziarie.