Il gossip bancario – per quanto inframmezzato da quello giudiziario – comincia a farsi meno vago. L’aggregazione Popolare Vicenza-Etruria è un progetto formalizzato (e la la sua estensione a Veneto Banca ne è sviluppo probabile). La fusione Popolare di Sondrio-Creval è più di una suggestione, naturalmente nel 2015. Cariparma-Credit Agricole (una banca multiregionale italiana controllata – ma non integralmente – da un gigante cooperativo francese sperimentato a sud delle Alpi) è un’ipotesi più che teorica per la stabilizzazione aziendale di Carige.



Da oggi, intanto, anche il futuro del Mps inizia a diventare presente. A conclusione dell’aumento da 5 miliardi di euro lanciato in Borsa – cioè dopo il 20 giugno – sarà più chiaro chi controllerà Rocca Salimbeni dopo 542 anni di proprietà civica. Un manipolo di fondi internazionali, per coronare il sogno “public company” di Alessandro Profumo, ormai “pantera grigia”? Oppure Axa farà a Siena ciò che Air France ha preferito non fare al tavolo Alitalia? Il “pdg” del colosso assicurativo francese, Henri de Castries, è stato ben attento, nei giorni scorsi sui media europei, a mostrarsi attento a tutto quanto accade in Italia. E Axa, almeno sulla carta, appare il soggetto giusto per una soluzione “all’europea”: che non cancelli del tutto la Fondazione Montepaschi e i suoi alleati sudamericani del momento (Fintech e Btg). Senza escludere neppure interventi di sistema (altre Fondazioni o altri investitori privati) meno ardui dopo che l’orizzonte, a Siena, si è fatto meno incerto sia sul versante giudiziario che su quello aziendale e finanziario cui andrà in contro la banca. Si vedrà.



Per tutti – Mps e le Popolari, i “campioni nazionali” o le banche di credito cooperativo – tutto ovviamente si deciderà dopo l’asset quality review che farà entrare in gioco la Bce come grande fratello della vigilanza creditizia. Ma che un nuovo risiko “s’ha da fare” lo ha confermato il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, lo scorso 30 maggio: è per questo che molti dossier sono già aperti e altri lo saranno nelle prossime settimane. Per di più la Ue – concedendo all’Italia di Matteo Renzi la consueta “semi-promozione-con-riserva” ai fondamentali economico-finanziari – non ha perso occasione per bocciare di nuovo le storiche “italianità bancarie”: le Fondazioni e la struttura cooperativa di grandi gruppi come Banco Popolare, Ubi, Popolare di Milano.



La tecnocrazia sovrannazionale – mai fuori linea rispetto ai mercati apolidi – continua dunque a premere sul residuo bancocentrismo domestico italiano. E sa di poter contare in questa fase – su una possibile neutralità del governo Renzi: il quale non sembra il premier disposto a far battaglie “alla francese” per difendere grandi aziende italiane; anche se è certamente lontano da ultraliberismi “alla Giavazzi”, per cui l’unica banca italiana buona è quella che viene comprata da una banca non italiana. (Non va peraltro dimenticato che proprio nei giorni scorsi al vertice dell’Ente Cassa Firenze, grande azionista di Intesa Sanpaolo – è approdato Marco Tombari, un 48enne giurista molto vicino al premier: e nel suo studio ha lavorato il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi).

Quel che resta nella scala della probabilità è d’altronde la prevalenza di un categoria nel riassetto bancario alle porte: il “downsizing”, il “downmoding”. La riduzione: sia dei consiglieri d’amministrazione che dei dipendenti, che dei loro compensi, che del divario fra quest’ultimi. Il ridimensionamento: soprattutto delle oltre 30mila agenzie territoriali (è per questo che un’ipotesi di concentrazione come quella fra le due Popolari valtellinesi un tempo sarebbe stata inconcepibile, oggi è invece incoraggiata da Via Nazionale perché obbliga a una razionalizzazione più radicale delle reti). Meno banche: sicuramente nella “flotilla” del credito cooperativo, all’interno della quale, pure, il salvataggio delle imbarcazioni che non hanno retto il mare contrario fa parte della tradizione mutualistica. Ma “meno banche” terrà dentro anche operazioni tutt’altro che minori e già in pipeline: come la quotazione di Fineco (da parte di UniCredit) che dovrebbe approdare in Piazza Affari il 3 luglio. Meno capitale investito in partecipazioni in bilanci che devono essere più solidi nella base patrimoniale e più flessibili nella liquidità, nella rigenerazione del credito alle imprese, nel riorientamento degli investimenti finanziari. Non da ultimo: meno soci individuali (o almeno meno “greggi di soci dormienti”) e più investitori istituzionali nelle Popolari. Meno Fondazioni (perché gli enti non si possono fondere?) e meno peso delle Fondazioni in banca (ma qui l’Acri potrebbe anticipare “regulator” e mercati con un’accelerazione dell’autoriforma).