Non troppo diversamente da Alitalia, Telecom è un fardello per sé, per i suoi azionisti, per il sistema-Italia. Non ha un proprietario stabile e nessuno sembra d’altronde molto interessato a restarlo o a diventarlo. Il gruppo ha avuto negli ultimi sette anni un socio-partner estero – Telefonica de España – che però ora ha rotto tutti gli indugi e gli equivoci: è ridivenuto un concorrente e cederà la sua quota.

A differenza di Alitalia, Telecom non ha il conto economico irrimediabilmente in perdita ma è molto indebitata, per di più a fronte di attivi patrimoniali fragili. Di fatto non ha una strategia: il forte debito accumulato dall’auto-Opa di Roberto Colannino del 1999 ne paralizza da un quindicennio la capacità d’investimento; il possibile spin-off pubblico di una rete invecchiata non è mai diventato un vero progetto, così come l’ipotesi di vendita della telefonia mobile; Tim Brasil è nulla più di una partecipazione, alla fine quasi ingombrante sul piano strategico. Il top management (l’ex country manager di General Electric, Giuseppe Recchi, e l’ex direttore generale Marco Patuano, promosso Ceo) è rispettabile, ma per l’ordinaria amministrazione: per un presidio, anche se non è più chiaro di quali interessi.

La campana suonata da Telefonica – con la sua offerta su Gvt in Sudamerica e il suo disimpegno esplicito dall’Italia – va quindi salutata positivamente se promette di spingere Telecom fuori dallo stallo: l’Azienda-Italia, del resto, si ristruttura invariabilmente sotto l’azione di vincoli e pressioni esterni. E i primi segnali non sono scoraggianti: Patuano ha fatto il suo lavoro – difendere gli interessi dell’azienda – prendendo contatto con un socio-chiave di Vivendi – il finanziere francese Vincent Bolloré – e prospettando una diversa soluzione per lo scacchiere brasiliano.

Conforta anche il risveglio di Mediobanca – ancora seduta al tavolo Telecom – e già in Piazza Affari ci si chiede se, dopo molti anni, al sistema-Italia non possa tornare utile il pesante sgarbo fatto dai vecchi patron di via Filodrammatici, dalla scelta di Enrico Cuccia e Vincenzo Maranghi di “salvare” Mediobanca presso la vecchia Lazard di Antoine Bernheim, presso il raider bretone Bolloré, presso il power broker levantino Tarak ben Ammar (grande amico di Silvio Berlusconi).

Ma cosa può davvero seguire i fuochi d’artificio d’agosto? La partita, in sé, è meno conflittuale di quanto appaia nell’offerta “non concordata” di Telefonica su Gvt e nelle manovre di Telecom, formalmente “controffensive”. Il lunghissimo divorzio fra Telefonica e Telecom è in corso da un anno, ammesso che il matrimonio sia mai stato consumato.

L’esca inserita nell’offerta Gvt – il pacchetto Telecom – è invitante per Bolloré (e Alierta mostra di saperlo, attribuendo un valore implicito elevato nella sua proposta di partenza). I quasi-ex azionisti italiani (Mediobanca, Generali, ma anche Intesa Sanpaolo) stanno già spalancando le porte al vecchio amico Bolloré, che in Piazzetta Cuccia mantiene una posizione di rilievo. Poco fuori, guardano attentissimi soggetti come Berlusconi (che ha appena venduto Mediaset Premium a Telefonica, ma sta chiaramente cercando nuovi approdi per la capogruppo), ma a anche il Premier Matteo Renzi, “proprietario pro tempore” della Rai e della Cassa depositi e prestiti e politicamente sensibilissimo l’evoluzione dello storico conflitto d’interesse di un Cavaliere che già oscilla fra “l’opposizione responsabile” e “l’appoggio esterno” al governo.

Il management Telecom, sulla carta, non dovrebbe essere prevenuto dalla prospettiva di ingresso di un nuovo azionista forte, meno ingombrante di Telefonica e più potenzialmente interessante per una “ripartenza” a suon di capitali e relazioni (in Italia e altrove). Nell’immediato è ovvio che si mostri concretamente preoccupato per due motivi: il primo è la tendenziale svalutazione di Tim Brasil, puntello del bilancio Telecom e (presso analisti e investitori) gioiello in vendita. D’altro canto non possono entusiasmarsi per un cambio di controllo nella società ancora una volta sulla testa e sulla pelle del mercato.

Ecco: perché tutti i tasselli del puzzle vadano a posto occorre convincere il mercato (posto che Telefonica è politicamente più forte di Telecom presso il governo brasiliano). L’offerta Telefonica a Vivendi per Gvt è inequivocabilmente “migliorabile”. Gli azionisti Telecom – piccoli e grandi – non staranno a osservare inerti l’arrivo “gratuito” di monsieur Bolloré (e magari del Cavalier Berlusconi) nella sede Telecom e non rinunceranno alla loro parte. Questa potrebbe venire (ma è solo una delle opzioni) proprio dalla vendita di Tim Brasil (ma forse della stessa Tim: perché no? Nel 2007 era quasi deciso). Poi Telecom potrebbe veramente diventare una piattaforma per la costruzione di una New Thing che forse non sarà più assegnabile all’Azienda-Italia come l’antica Stet – oggi perfino rimpianta – ma certamente non sarà più un problema.