Il premier Matteo Renzi e il ministro Maurizio Lupi hanno salvato Alitalia consegnandola gratis a Etihad: con il bonus degli Aeroporti di Roma (vero obiettivo di Abu Dhabi) e non senza una spintarella finale pagata da Poste e grandi banche italiane. Prosit: non c’era alternativa, inutile continuare a parlarne. Ora è invece il momento del presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni, e del sindaco di Milano, Giuliano Pisapia: devono salvare, anzi rilanciare, anzi lanciare per davvero lo scalo Malpensa. Che ne siano convinti o no, ma farebbero bene a esserlo nel loro interesse.
Dopo un anno e mezzo al Pirellone, Maroni è letteralmente missing: si fa vedere in diretta tv all’inaugurazione della Brebemi; legge volentieri su Il Corriere della Sera che nell’estate 2014 la sanità lombarda della legge 33 resta un modello in Europa; attende – se ne avrà il coraggio politico – di dar seguito all’idea parecchio anti-politica di referendum regionale per trattenere in Lombardia il 75% del gettito fiscale primario. Ma nulla di tutto ciò è roba sua: anche l’idea di federalismo fiscale (ma realistico e non demagogico) è farina del sacco di Roberto Formigoni, della sua leadership di una stagione amministrativa del centrodestra in Lombardia, così diversa da quella degli Zaia e dei Cota nei cortili vicini. Così diversa dall’anonimo immobilismo di Maroni
Anche l’aeroportone “nella brughiera” è uno dei frutti di quella stagione. Il seme era buono, andava gettato esattamente in quel campo. Negli anni ‘90 Milano era uno snodo finanziario strategico in Europa, la fashion industry era la punta di diamante della competitività non solo economica, non solo del capoluogo regionale. Malpensa era (è) al centro della grande area metropolitana MiTo, sollecitava (allora come ora) la ricostruzione di un sistema intermodale di trasporti al Nord gestito sempre da partnership fra privati e regioni. L’Expo 2015 non era ancora all’orizzonte, ma poi è arrivato: così come ha preso forma il ridisegno urbanistico di Milano concepito principalmente dal sindaco Letizia Moratti.
In una democrazia matura e funzionante i progetti strategici esulano dai singoli, dai loro cognomi, dalle stesse forze politiche che li sostengono: per questo Maroni e Pisapia dovrebbero sentire la responsabilità piena e prioritaria di portare a compimento il progetto “Grande Malpensa”. Un progetto che non può essere la vittima ultima, principale ed eccellente del disastro simbolico di un’Italia vecchia. Molti piloti e assistenti di volo di Alitalia ritroveranno probabilmente ad Abu Dhabi uno stipendio, una casa con l’aria condizionata, spese mediche e scuole per i figli pagate. Malpensa invece si ritrova a trattare come ospite indesiderato Emirates. Il concorrente di Etihad ha investito sullo scalo milanese – su un solo volo Dubai-Milano-New York – come se si trattasse di un proprio hub e si è ritrovata molestata da un oscuro magistrato amministrativo di Roma.
Ecco: cedere almeno il 49% di Sea a un fondo sovrano con base a Dubai e puntare sulle traiettorie ascendenti di una compagnia come Emirates sarebbe a questo punto un’idea convincente. La “finis” di Alitalia e l’investimento strategico di Etihad su Fiumicino porta con sé almeno questo di positivo: la fine di tutti gli equivoci sulla “compagnia di bandiera a due hub”. Con tutte le conseguenze puntualmente verificate: la “falsa partenza” di Lufthansa Italia non più che l’ipotesi di ridurre Malpensa a un cargo-hub di Klm. Oppure i ballon d’essai via via lanciati a/da compagnie come Ryanair. Tutto sempre fallito per il “fattore A”, per non disturbare mai l’interminabile eutanasia della compagnia della Magliana. Sarebbe un terribile paradosso se Malpensa non trovasse un suo futuro per mancanza di risorse che in Lombardia non sono mai mancate: lo spirito imprenditoriale, l’apertura internazionale e i capitali.
Ma questa volta occorre il mix completo: la sola quotazione in Borsa (ventilata qualche tempo fa senza convinzione e alla fine successo) non basta. È tempo invece che i soci pubblici (compresa la Provincia di Milano) compiano un passo indietro sostanziale: nella proprietà e nella guida di Sea, e non facendoselo dire per decreto da Palazzo Chigi. E senza più cercare una stampella nel fondo F2i della Cdp: che può andar bene per sostenere una struttura-Paese come la rete Telecom, non un’azienda che oggi può vivere soltanto come impresa concorrenziale nel mercato globale dei servizi aeroportuali. L’esperienza recente dimostra fra l’altro che – a Milano – il rischio di un incidente giudiziario è quasi prossimo alla certezza. Tanto più che proprio la più recente “inchiesta Sea” – deflagrata clamorosamente dentro e non fuori il palazzo di giustizia milanese – è divenuta il simbolo di un’anti-Milano, obsoleta e dannosa per una Lombardia che non vuole rimanere definitivamente a terra.