Perché Sergio Marchione, capo-azienda di Fiat-Chrysler, vuole rimuovere dal vertice Ferrari Luca Cordero di Montezemolo, ex presidente Fiat e membro della famiglia Agnelli? Perché ora? E perché i media mettono in prima pagina una vicenda che in sé forse non la meriterebbe?

È verosimile – secondo l’interpretazione più gettonata – che Marchionne e con lui il presidente-azionista John Elkann vogliano avere mani libere sull’eventuale valorizzazione della Ferrari nell’ambito della stabilizzazione finanziaria del nuovo gruppo Fca, in via di quotazione a Wall Street. In breve: se, quando e come la Ferrari dovesse essere venduta o quotata per far cassa a vantaggio di Fca, Marchionne ed Elkann non vogliono essere obbligati a fare i conti con la presidenza Montezemolo: o – addirittura – con le autonome iniziative dell’antico team manager di Niki Lauda per vendere o quotare Maranello, ad esempio facendo sponda sugli Emirati del Golfo oppure su investitori cinesi. 

È peraltro inevitabile scorgere, in controluce, una sbrigativa impazienza da parte di Elkann – quarantenne erede di quinta generazione in linea retta dell’Avvocato – rispetto all’over 60 Montezemolo, che appartiene alla quarta generazione della dinastia torinese e non ha mai avuto alcun peso azionario (Yaki è invece con il 41% l’azionista-dominus della Giovanni Agnelli Sapaz, in cima alla catena proprietaria della Fiat). E la questione generazionale – fortemente politica ai tempi del premier quarantenne Matteo Renzi – non è neutra rispetto al “qui e ora” nel quale si sta muovendo Marchionne, plenipotenziario manageriale di Elkann, contro l’ormai ex “astro nascente” della Terza Repubblica. 

La Fiat è stata obiettivo specifico – nell’ultimo weekend – del vigoroso attacco di Renzi ai “salotti buoni”. La polemica si è ufficialmente accesa attorno alla mancata partecipazione del premier al forum di Cernobbio e al dualismo fra “imprenditori che investono” (come le Rubinetterie bresciane visitate sabato da Renzi) e imprenditori-lobbyisti che giocano fra giornali, banche e politica per alimentare un “capitalismo senza capitali”. La dialettica ha avuto peraltro un concretissimo centro di gravità, anche se un po’ dietro le quinte: la crisi di Ntv, il concorrente “duopolista” delle Fs nell’Alta velocità ferroviaria.

La “seconda licenza” – tuttora protetta – nel segmento ricco del trasporto ferroviario italiano, è stata concessa a Ntv sotto l’ultimo governo Prodi a trattativa privata dalle Fs: non diversamente da come il governo Ciampi assegnò nel 1994 al gruppo De Benedetti la prima opportunità di far concorrenza a Telecom-Tim nella telefonia mobile in sicuro boom. Ntv è una joint venture fra Montezemolo e Diego Della Valle, con l’appoggio finanziario di Sncf (le ferrovie pubbliche francesi) e Intesa Sanpaolo. A due anni dall’inizio del servizio commerciale, il gestore di Italo è in forte difficoltà: la gestione è in perdita e i debiti preoccupano le banche. 

Montezemolo, nel frattempo, traballa sul suo trono storico di presidente di una Ferrari “perdente da sei anni” (denuncia Marchionne) e lascia correre le voci di una sua presidenza di garanzia dell’Alitalia ceduta agli arabi di Etihad. Della Valle, dal canto suo, replica un suo copione classico: rilanciare accuse veementi – non escluso il veicolo della pubblicità a pagamento – contro il solito “governo nemico dell’impresa”. 

Secondo i rumors riferiti dai giornali più informati, Montezemolo e Della Valle avrebbero chiesto a Renzi di chiudere l’avventura fallita in Ntv con il riacquisto di Italo da parte delle stesse Fs, sulla falsariga del “salvataggio incrociato” reciproco di Alitalia e Air One. L’alternativa sarebbe il via libera alle ferrovie statali francesi, bypassando anche un ragionevole negoziato sulla possibilità dei Frecciarossa di viaggiare sui binari Oltralpe, in libera concorrenza, fino a Parigi, Lione, Nizza, Strasburgo.

Renzi – riferiscono – ha praticamente messo alla porta Montezemolo e Della Valle, approfittando per scatenare la sua offensiva di fine estate contro gli imprenditori “che non investono e non pagano le tasse in Italia”. Allarme rosso per la Fiat che ha appena trasferito la sua sede legale (fiscale) in Olanda e il suo quartier generale industriale a Detroit, dopo aver beneficiato negli ultimi cent’anni di tutti i sussidi pubblici immaginabili. E se il Lingotto si è – almeno in parte – de-italianizzato, la famiglia Agnelli rimane ancora molto radicata in Italia: basti pensare ai soli interessi editoriali che proprio in questi giorni premono alle porte di Rcs per acquisirne il controllo (anche contro l’azionista di minoranza Della Valle).

Elkann e Marchionne possono permettersi di vedersi associati al “vecchio” Montezemolo, fino all’altroieri candidato successore di Silvio Berlusconi e oggi imbarazzante duopolista fallito dell’Alta velocità? Possono avere contro un premier che sabato è stato accolto con un abbraccio dal presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, e domenica ha dato spettacolo “in camicia bianca” alla festa del Pd di Bologna  con il rampantissimo premier francese Manuel Valls? Il successore dell’Avvocato e l’erede dei super-manager di Torino – da Vittorio Valletta a Cesare Romiti – non si scomodano certo per i settimi posti di Fernando Alonso. Né ilCorriere della sera sbaglia le sue valutazioni su ciò che segna gli scontri reali di potere nel Paese.