Consob e Bankitalia sopra le righe sui media nei primi giorni dell’anno, assieme. La Commissione di Borsa ha provato a maramaldeggiare un po’ sui bilanci di Carige per coprire i titoli sulle problematiche dimissioni del direttore generale Gaetano Caputi. Il presidente Mario Vegas è infatti indagato dalla Procura di Roma per presunto abuso d’ufficio proprio per la designazione di Caputi, che tuttavia lascia oggi via Isonzo per “dissidi” con lo stesso Vegas: il quale, peraltro, sarebbe stato messo sotto pressione dagli altri due commissari – Paolo Troiano e Anna Genovese – per la gestione esterna di appalti informatici. Ma non meno difficile si annuncia già la successione a Caputi: le funzioni di direttore generale saranno assunte dall’attuale vice – Giuseppe D’Agostino – la cui nomina stessa, però, è sotto inchiesta giudiziaria.



È inevitabile, quindi, che le luci si riaccendano violentemente sull’intera conduzione dell’authority di Borsa da parte dell’ex viceministro di Giulio Tremonti al Tesoro, nominato ancora dall’ultimo governo Berlusconi: un Vegas che si ritrova oggi a guidare una commissione ridotta a soli tre membri, ma senza ancora un’autentica riforma della vigilanza nazionale su società e mercati dopo la grande crisi finanziaria e la nascita dell’Esma a livello Ue. 



Nel frattempo la fama alterna della Consob – a quarant’anni dalla sua istituzione – sta conoscendo una fase opaca: anche per i dissesti di Fondiaria-Sai (che ha di fatto decretato la fine dell’Isvap e l’accorpamento della vigilanza assicurativa in Banca d’Italia), ma non meno per le crisi bancarie di Mps e Carige. Se la supervisione sulla stabilità degli intermediari era e resta della Banca d’Italia (oggi in condivisione con la Bce), quella sull’attendibilità dei conti di società quotate rimane compito esclusivo della Consob: la quale, tuttavia, a Genova sembra arrivare ancora una volta tardi, per dovere d’ufficio, su un “capro espiatorio” già ampiamente scarnificato, su un anello particolarmente debole e indifeso dell’acciaccata comunità finanziaria domestica.



È vero che la stessa vigilanza bancaria “domestica” – quella che fa ancora capo a Via Nazionale – mostra una forma tutt’altro che smagliante. Il vicedirettore generale Fabio Panetta – ufficiale di collegamento con il Single Supervising Mechanism entrato in funzione lo scorso novembre – si è dovuto scomodare ieri, in una conversazione con Repubblica, per calmare le acque dopo un venerdì nero per le banche italiane.

A innescare ondate di vendite è stato un articolo de Il Sole 24 Ore che riferiva come la nuova supervisione di Francoforte avesse indicato coefficienti patrimoniali più rigidi in via sostanzialmente discrezionale per alcuni gruppi italiani (già nello stress test di avvio, lo scorso ottobre, il sistema italiano era stato il più colpito in termini di richieste di ricapitalizzazione). «Non ci sono informazioni per il mercato diverse da quelle già note», si è affannato a precisare Panetta, che fa parte del consiglio di vigilanza presieduto dalla francese Danielle Nouy presso la Bce.

Le lettere giunte ai vertici di diversi gruppi italiani – intercettate da Il Sole 24 Ore – rifletterebbero dunque obiettivi temporanei, ancora a valle del comprehensive assessment di poche settimane fa: essenzialmente una forma di moral suasion europea per la redazione di bilanci 2014 rigorosi soprattutto nella pulizia di volumi ancora elevati di crediti problematici.

Fra scoop e rincorse della vigilanza la verità sembra stare nel mezzo: le banche italiane non possono contare su nessuna indulgenza (meno che mai quella di via Nazionale e neppure della Consob) quando stanno tirando le somme del 2014: presentare ai mercati un conto economico in nero oppure in rosso; decidere se distribuire una cedola anche minima oppure no a Fondazioni o piccoli soci di Popolari. Ha però ragione Panetta quando parla di “non notizia”: era tutto noto da tempo, certamente – nero su bianco – da quanto è stato pubblicato dal sito della Bce a mezzogiorno dello scorso 25 ottobre. La sua “ragione” – in chiave meno tecnica e più politica – viene ancora una volta ridimensionata dalla polemica – sempre più forte e trasversale nell’Azienda Italia – sulla difesa istituzionale del sistema bancario italiano nelle sedi internazionali: dove le nuove regole prudenziali sembrano sempre rispondere a interessi universali e astratti ma finiscono spesso per avvantaggiare alcuni a danno di altri.

Come se non bastasse, su questo sfondo resta totalmente in campo la candidatura “di pietra” del presidente (italiano) della Bce Mario Draghi alla presidenza della Repubblica italiana e sembra entrare in scena quella “di scorta” del governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco: probabilmente a colmare il vuoto lasciato dal sostanziale tramonto di quella del ministro dell’economia Pier Carlo Padoan, oggettivamente coinvolto nel vaso politico del cosiddetto “comma salva-Berlusconi” nell’ultimo decreto fiscale. Ma i tempi della lunga parabola di Carlo Azeglio Ciampi da Palazzo Koch al Quirinale sembrano lontani. Almeno per Visco.