Può darsi che si risolva in nulla l’esposto del Codacons alla Procura di Civitavecchia per verificare eventuali responsabilità penali (non solo per “istigazione”, ma anche di vigilanza) nel suicidio del pensionato che ha visto andare in fumo le sue obbligazioni subordinate di Banca Etruria. Ma non è da escludere – visto il clima d’opinione in rapido peggioramento attorno al “risparmio tradito” nelle quattro risoluzioni bancarie italiane – qualche Pm non decida di muoversi. È passato del resto poco più di un mese da quando la Procura di Spoleto ha inviato un avviso di garanzia al governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, per gli strascichi del dissesto della Popolare locale, chiusa nel 2013. Allora la reazione di via Nazionale apparve debole e scompostae il direttore generale Salvatore Rossi – in una mail interna – lamentò non meglio definiti attacchi politici all’Istituto.
Poco autorevole è risultata anche, pochi giorni dopo, l’inedita nota di precisazione che Bankitalia ha rilasciato per difendere il suo operato di vigilante sulla Popolare di Vicenza. Né è stato un bello spettacolo – appena due giorni dopo le risoluzioni di Etruria, Banca Marche, CariFerrara e CariChieti – assistere a Milano alla lezione impartita dal nuovo capo della vigilanza Bce, la francese Danièle Nouy, ai maggiori banchieri italiani. Alla presenza del solo vicedirettore generale Bankitalia, Fabio Panetta. È parsa una sorta di ammainabandiera: di passaggio sostanziale di consegne, senza gloria e in un clima di frustrazione per i vertici delle banche vigilate. Niet (dalla Ue ma sotto gli occhi della Bce) all’utilizzo del Fondo interbancario di tutela dei depositi – meno oneroso – per le quattro risoluzioni. Niet reiterato di Bruxelles alla bad bank per la pulizia di 200 miliardi di sofferenze creditizie. Niet di Francoforte a una maggior flessibilità nei prossimi stress-test bancari e nell’appesantimento dei requisiti patrimoniali.
Una dozzina d’anni fa, il governatore Antonio Fazio e il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, si scontrarono frontalmente sui danni principali e collaterali prodotti dai crac Cirio e Parmalat, sul ruolo del sistema bancario, sulle perdite accusate da decine di migliaia di obbligazionisti, senza mai nessun sollievo pubblico. Alla fine fu Fazio ad aver la peggio: e pagò anche il conto del “risparmio tradito”, non solo la resistenza all’Ue nelle Opa bancarie del 2005. L’Italia cacciò, processò e condannò in terzo grado il suo banchiere centrale per aver vigilato male sulle banche del Paese: sulla loro solidità e sul loro modo di trattare i risparmiatori.
Fazio, comunque, non avrebbe mai inviato in Parlamento un funzionario non membro del Direttorio per difendere la vigilanza. Lo ha fatto invece ieri Visco, ancora una volta: e Carmelo Barbagallo ha provocato un quasi-incidente diplomatico con Bruxelles nello scaricabarile sull’escalation di problemi attorno alle quattro risoluzioni italiane.
Dieci anni fa Fazio fu brutalmente sostituito da Mario Draghi, con un mandato preciso: togliere dal sistema finanziario nazionale ogni residua incrostazione di ciò che non fosse “mercato”. Cinque anni fa Draghi è stato promosso al vertice della Bce, cui successivamente è stata anche assegnata la supervisione bancaria. Oggi il sistema bancario italiano perde i pezzi ed è molto meno solido rispetto al 2005 ma anche al 2011, tre anni dopo il crac Lehman Brothers, i risparmiatori (storicamente fra i più tenaci) continuano a perdere i loro soldi. La Banca d’Italia ha perso quasi del tutto la sua voce. Il governo sembra aver perso ogni capacità d’intervento su banche e risparmio se non quelle “umanitarie” riservate ai migranti giunti sui barconi.
È evidente che qualcosa went wrong: che molto, quasi tutto, non ha funzionato. Almeno parliamone, in tutte le sedi della democrazia: come attorno a Cirio e Parmalat. In questo momento non serve al Paese che il governatore vada a parlarne in qualche Procura. Meglio se ne discute col premier e col ministro dell’Economia. Se viene lui in Parlamento. Se torna ad aprire bocca a Francoforte (dove Visco in teoria dovrebbe partecipare alle decisioni, non subirle). Se convoca lui i capi delle sue banche: e dice loro cosa fare. Altro che “abbassare i toni”, come ha suggerito ieri il maggior quotidiano economico italiano.