L’altro giorno il capo della vigilanza della Banca d’Italia, Carmelo Barbagallo, è andato fino a Bolzano – in una specie di “terra di mezzo” fra Italia e Grande Germania – per intervenire a un convegno delle Raiffeisenkassen dell’Alto Adige. Dalla Vetta d’Italia ha lanciato una specie di diktat-bis al Credito Cooperativo, dopo il decreto blitz del Governo che ha preteso di cancellare in una notte il Credito Popolare. Barbagallo ha detto che le Banche di credito cooperativo italiane devono “integrarsi, rendersi più coese”.
Le cronache divergono nei dettagli, ma sembra che Barbagallo abbia più o meno suggerito/intimato alle Bcc “italiane” di riorganizzarsi rapidamente secondo un modello compatto – “a gruppo” – tipico del credito cooperativo dell’Europa centrale (siamo convinti dell’inattendibilità dei resoconti riguardanti un non meglio definito “modello spagnolo”: l’intero sistema bancario iberico è crollato nel 2012 ed è stato salvato dall’Ue con 40 miliardi, regolarmente sottoscritti pro-quota dal governo italiano). In ogni caso alle Bcc è stato prospettato di fare del loro istituto centrale (Iccrea Holding) una capogruppo da quotare in Borsa: come la Caisse Nationale du Credit Agricole in Francia. O come la Raiffeisen Zentral Bank in Austria, “capogruppo morale” delle casse rurali del Sud Tirolo.
Non sappiamo se Barbagallo fosse a conoscenza che lunedì 9 la Rzb ha annunciato un 2014 in forte perdita nelle sue attività internazionali (quasi 500 milioni di euro); prospettive ancora più fosche per il 2015; e un drastico ridimensionamento della presenza nell’Est europeo (ma anche in Asia e negli Usa) per tamponare un drammatico crollo del titolo in Borsa.
Ma che ci fa in Polonia o negli Usa un gruppo bancario che si ispira direttamente a Wilhelm Raiffeisen, padre fondatore del credito cooperativo “doc” nell’Europa continentale? Perché è quotato in Borsa dopo che la Seconda Direttiva Bancaria Ue (tuttora in vigore) segnala che solo il credito cooperativo è eccezione tutelata al modello egemone della “listed public company”? E perché mai la Banca d’Italia, nel 2015, si affanna ad additarla come “superamento” delle Bcc “a rete” in Italia?
Soltanto questa è la ragione plausibile di un raro comunicato – più esterrefatto che scandalizzato – con cui il presidente della Federcasse, Alessandro Azzi, ha suggerito alla Vigilanza di considerare “strade alternative per raggiungere obiettivi condivisibili”. Il riservato avvocato bresciano era già da un decennio leader delle Bcc italiane – “movimento” e “sistema”, non “gruppo” – quando il Credt Agricole volle/dovette pilotare il riassetto finale del Credit Lyonnais. La Cnca fu quotata in Borsa da Lazard, ma è difficile contabilizzare quanti miliardi di euro siano stati persi negli anni successivi dal credito cooperativo francese “trasformato in gruppo e avvicinato al mercato”.
Probabilmente più di quanti ne abbia persi il credito cooperativo italiano, martoriato dalla recessione e abbandonato a se stesso dalle sue autorità creditizie nell’arena della ri-regolazione post-crisi. Ma probabilmente meno di quanti ne abbia persi il Montepaschi; e non sotto i colpi dello tsunami finanziario, ma per un’acquisizione sciagurata, ma autorizzata senza batter ciglio dalla Vigilanza della Banca d’Italia. Che ora non ha nulla da dire sulla rinazionalizzazione della banca senese, a spese del contribuente.