È comprensibile che Umberto Eco sia il primo firmatario di un manifesto anni ‘70 contro l’ipotesi di fusione fra Rcs Libri e Mondadori: e non per ragioni politico-culturali. Oltre a una razionalizzazione “zero-base” dei compensi agli autori in catalogo, un’aggregazione fra i due editori “mohicani” in Italia porrebbe fine al duopolio – quasi sovrapponibile a quello fra Rai e Mediaset – che consente in queste settimane al “venerato maestro” di essere in cima alle classifiche di vendite di narrativa italiana con “Numero zero”: un romanzo breve che si colloca all’estremo opposto de “Il nome della rosa”, successo d’esordio di Eco. Soltanto in un’Italietta “duopolista” in libreria – già probabilmente sgradita al massmediologo cresciuto nel lento monopolio della Rai lottizzata – “Numero zero” può diventare il volume che è impossibile non acquistare: perché nessuno ha più nemmeno il coraggio di avvertire che Eco non racconta più nessuna storia; che scarabocchia un bozzetto di giornali e giornalisti lontano da ogni minima verosimiglianza; che non dà affatto esoterici giudizi postumi su Mani Pulite. Se invece Rcs Libri – con un campione del mondo in squadra, pur invecchiato ma “in testa alle classifiche” (?) – ha un disperato bisogno di un compratore entro metà marzo qualche ragione pure ci sarà: e non solo l’urgenza della capogruppo di ripianare i debiti accumulati dalle infelici acquisizioni in Spagna nel business dei quotidiani.

In un’Italia in cui il premier Matteo Renzi – giusto o sbagliato – la prossima settimana vorrebbe smontare e rimontare la Rai (e quindi obbligare a cambiare Mediaset); in un’Italia in cui per decreto le dieci maggiori Popolari sono state obbligate ad abbandonare il loro modello centenario ed essere esposte alle scalate estere; in un Paese in cui, dall’altro giorno, un lavoratore può essere “demansionato” unilateralmente, un’operazione di mercato fra due società private, quotate in Borsa e pesantemente in crisi, è un attentato alla democrazia , alle varie categorie di Famosi e alle loro Isole felici?

Quando alla fine degli anni ‘80 Carlo De Benedetti e Silvio Berlusconi si accapigliarono nella “guerra di Segrate” (forse l’atto fondativo della “seconda repubblica mediatica”) tutto finì prima in un armistizio finanziario di soddisfazione reciproca; poi in un lunghissimo procedimento penale e civile che ebbe una conclusione curiosa. Era il 3 ottobre 2009 e al mattino si tenne a piazzale San Giovanni a Roma una grande adunata sulla “libertà di stampa e d’informazione”, starring Roberto Saviano.

Al pomeriggio si ebbe notizia che Fininvest (holding di Mondadori) era stata condannata, vent’anni dopo, a pagare 750 milioni di euro di danni alla Cir. Non risulta che De Benedetti – lui pure editore – abbia mai pensato di re-investire l’incasso non preventivato nell’industria culturale. Li reinvestirebbe invece volentieri – attraverso L’Espresso-Repubblica – in un canale Rai se venisse privatizzato come a suo tempo la prima licenza di telefonia mobile (Omnitel, presto rivenduta all’estero).

Sarà curioso vedere come i giornalisti e i collaboratori Rai giudicheranno – nel caso – un investimento nominalmente più “democratico” del salvataggio della Rizzoli libri da parte di Mondadori. Nel frattempo il mercato morde quell’intellighenzia che vi ha flirtato volentieri fino a che era “il mercato degli altri”.